In Cina e Asia – Covid: l’assenza di turismo cinese potrebbe costare all’Europa 10 miliardi di euro

In Notizie Brevi by Alessandra Colarizi

Da Roma a Budapest. Le città europee sentiranno la mancanza dei turisti cinesi. Secondo un report del Global Times, a causa della pandemia, molti viaggiatori opteranno per mete nazionali, privando il Vecchio Continente di un’importante fonte di guadagno in tempi già difficili. Le perdite potrebbero aggirarsi intorno ai 10 miliardi di euro. Il quotidiano ricorda come, il turismo  – contando per il 3,9% del Pil europeo – dia lavoro a quasi 12 milioni di persone. E la Cina contribuisce in maniera sostanziale. Prendiamo la Spagna. Sebbene i cinesi non siano tra i visitatori più numerosi si piazzano invece al primo posto per spesa complessiva. Secondo un rapporto della Commissione europea, negli ultimi anni, la Francia è stata la destinazione più popolare al di fuori dell’Asia. Nel 2019, 2,4 milioni di turisti cinesi hanno visitato il paese sborsando  oltre 4 miliardi di euro. Si si prende in esame il continente, la spesa medie spazia tra i 1.500 e i 3.000 euro per viaggio, a seconda della destinazione, di cui un terzo viene destinato all’acquisto di prodotti al dettaglio (in particolare articoli di lusso), con una crescita annua del 9%. Stando a un esperto intervistato dal GT, il numero dei turisti cinesi nell’Europa centrale e orientale potrebbe non tornare ai livelli pre-pandemici nemmeno nei prossimi due anni: “I cinesi potrebbero diventare più cauti dopo aver visto come alcuni governi europei hanno gestito COVID-19.” Sarà invece l’Asia – Pacifico a guidare la ripresa. Almeno per quanto riguarda la catena di alberghi Marriot, che stima un ritorno del business nella regione ai livelli pre-covid già dall’inizio del 2021. [fonte GT, Reuters]

Pompeo a Londra per fondare una “coalizione anti-Cina”

5G, Hong Kong e il Xinjiang. Sono alcuni dei dossier affrontati da Mike Pompeo durante il bilaterale con il premier britannico Boris Johnson. L’arrivo del segretario di stato americano a Londra coincide con uno dei momenti più critici per le relazioni di Stati Uniti e Gran Bretagna con la Cina. Il motivo del viaggio di Pompeo si può riassumere in un’unica affermazione: “speriamo di poter costruire una coalizione che comprenda la minaccia […] vogliamo che ogni nazione che capisce la libertà e la democrazia … prenda coscienza della minaccia del Partito Comunista Cinese”. Un messaggio che – secondo il ministro degli Esteri Dominic Raab – in futuro potrebbe trovare spazio ai tavoli del G7.
A conclusione della giornata, Pompeo ha incontrato l’attivista hongkhonghese, Nathan Law, e l’ultimo governatore di Hong Kong, Chris Patten. La Brexit ha trascinato Londra nel mezzo del braccio di ferro tra le due superpotenze, entrambe economicamente necessarie a controbilanciare la perdita dell’Ue. Solo negli ultimi giorni, il governo Johnson ha: espulso Huawei dalla rete 5G; sospeso l’accordo di estradizione con Hong Kong; ed esteso all’ex colonia inglese l’embargo sulle armi introdotto dopo il massacro di piazza Tian’anmen. Per Pechino, la Gran Bretagna è succube delle pressioni statunitensi. Ma i fatti di Hong Kong sembrano aver dato a Washington l’occasione giusta per dare nuovo slancio all’alleanza dei five eyes. Gran Bretagna, Canada, Australia e Nuova Zelanda hanno – o stanno –  tutti per rivedere le relazioni commerciali e diplomatiche con la regione amministrativa speciale. Il Canada è rimasto l’unico paese dei cinque a non aver ancora preso una posizione chiara su Huawei.  [fonte Bloomberg, Reuters]

Sondaggio: Aumenta l’approvazione dei cinesi nei confronti dei leader

Forse ve lo sarete chiesto anche voi: chissà se, avendo diritto di voto, i cinesi confermerebbero la leadership al potere? A questa domanda cerca di rispondere uno studio molto approfondito dell’Università di Harvard, basato su otto sondaggi condotti tra il 2003 e il 2016 per un totale di 31mila rispondenti. Complessivamente nel corso degli anni l’approvazione popolare nei confronti del governo risulta salita dall’86,1 per cento del 2003 al 93,1 per cento del 2016, salvo una contrazione all’80,5 per cento nel 2005. Ma, considerando che il grado di soddisfazione dipende direttamente dalla capacità dei leader di rispondere ai bisogni materiali, gli autori non escludono una perdita di fiducia, qualora la situazione economica dovesse peggiorare ulteriormente. Alcuni risultati sono particolarmente interessanti. Lo studio, per esempio, sembra promuovere la campagna anticorruzione rilanciata da Xi jinping, approvata dal 71,5% degli intervistati rispetto al 35,5% del 2011, quando il presidente era ancora Hu Jintao. Di conseguenza nel 2016 oltre il 65% dei rispondenti aveva una buona considerazione dei funzionari cinesi, in aumento rispetto al 35,4% di cinque anni prima.  Altro dato rilevante: una migliore predisposizione nei confronti delle autorità locali, salita dal 43,6% del 2003 al 70,2% del 2016. Ciononostante, il governo centrale continua a riscuotere il più alto livello di approvazione, fattore che i ricercatori attribuiscono al ruolo giocato dalla propaganda comunista dal momento che questa “soddisfazione gerarchica” nelle democrazie occidentali risulta invertita. [fonte SCMP]

Hacker cinesi accusati di rubare la ricerca sui vaccini anti-Covid

Gli Stati uniti hanno incriminato due cittadini cinesi con l’accusa di aver cercato di trafugare studi scientifici sui vaccini anti-Covid-19 e per aver hackerato centinaia di aziende (dislocate tra Stati uniti, Australia, Belgio, Germania, Giappone, Lituania, Paesi Bassi, Spagna, Corea del Sud, Svezia e Gran Bretagna) coinvolte nella difesa e nella produzione di alta tecnologia; dispositivi medici; software aziendali, servizi educativi e di gioco; energia solare; prodotti farmaceutici. Li Xiaoyu, 34 anni, e Dong Jiazhi, 33 anni, sono inoltre accusati di aver preso di mira “organizzazioni non governative e singoli dissidenti, membri del clero e attivisti democratici impegnati nella difesa dei diritti umani negli Stati Uniti e all’estero, così come a Hong Kong e in Cina”. In alcuni casi i due hanno agito “per il proprio guadagno personale” mentre in altri a beneficiarne è stato il Ministero della sicurezza dello stato cinese. Le operazioni sono cominciate nel 2014. “La Cina ha ora preso posto, insieme a Russia, Iran e Corea del Nord, in quel club vergognoso di nazioni che offrono un rifugio sicuro per i criminali informatici”, ha dichiarato il vice procuratore generale John Demers. Il caso di Li e Dong getta ulteriore benzina sulle polemiche riguardo alle responsabilità per la pandemia. Secondo l’amministrazione Trump, la Cina starebbe cercando di ottenere illegalmente un vantaggio competitivo nella ricerca sui vaccini.  [fonte Guardian]

Anche per Hong Kong, Covid diventa una minaccia

Il ritorno di Covid a Hong Kong rischia di assestare un colpo mortale all’economia locale, dopo la contrazione dell’8,9% del primo trimestre. Fino a pochi giorni fa l’ex colonia britannica era riuscita a gestire l’epidemia mantenendo contenuto il numero delle infezioni. Ma solo nelle ultime due settimane, oltre 600 nuovi casi – di cui molti di “origine sconosciuta” – hanno spostato i riflettori sugli inciampi del governo Lam. A partire dalla dubbia politica che permette ad alcune categorie sociali (come il personale di bordo degli aerei e chi gestisce le forniture alimentari della città) di saltare i 14 giorni di quarantena per assicurare il regolare svolgimento delle attività economiche. Secondo dati ufficiali, circa 200mila persone hanno beneficiato delle esenzioni. Ora c’è chi teme che le risorse locali non basteranno a contenere il virus senza dover dichiarare per la prima volta un vero e proprio lockdown. Un incubo per chi è costretto a vivere nei mini appartamenti noti come “case-bara”. A preoccupare è anche l’età media dei nuovi malati, salita da 40 a 55 anni. E le strutture ospedaliere sono già all’80% della loro capienza. [fonte Bloomberg]

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