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In Cina e Asia – Cina, bufera sui VE tra “guerra dei prezzi” e finto usato

In Notizie Brevi by Redazione

I titoli di oggi:

  • Cina, il mercato delle auto elettriche scosso dalla “guerra dei prezzi” e dal finto usato
  • La Cina accusa il governo taiwanese di aver appoggiato centinaia di attacchi informatici
  • Cina, esplosione impianto chimico fa almeno sei morti
  • Lowy Institute: la Cina è diventata il maggior creditore dei paesi in via di sviluppo
  • Forum Cina-Pacifico: nelle Salomone si teme l’influenza cinese sul governo
  • Corea del Sud, ultimo dibattito televisivo prima delle elezioni presidenziali

Nei giorni scorsi BYD, il più grande produttore cinese di auto elettriche (EV), ha annunciato una serie di sconti (anche fino al 34%) su 22 dei suoi modelli per stimolare la domanda interna e liberarsi delle auto invendute. Secondo gli esperti del settore, il rischio è che questa mossa possa aggravare la “guerra dei prezzi” delle EV in corso da anni: per adeguarsi alle nuove tariffe, i competitor di BYD potrebbero infatti presentare a loro volta degli sconti andando a intaccare dei margini di guadagno già molto ridotti. Lunedì, come reazione degli investitori all’annuncio, il valore delle azioni alla borsa di Hong Kong di vari produttori cinesi di EV è sceso di diversi punti percentuali. Alcuni degli sconti di BYD erano già entrati in vigore ad aprile, che è stato il miglior mese per vendite del marchio nel 2025, non solo in Cina: per la prima volta BYD ha superato Tesla per auto vendute in Europa.

Intanto, il 27 maggio, il ministero del Commercio cinese ha convocato i rappresentanti di alcuni dei maggiori marchi di EV del paese per chiarire un altro recente fenomeno legato al settore, denunciato dal presidente della Great Wall Motors, Wei Jianjun. Per raggiungere i propri obiettivi di vendita, sostiene Wei, alcune case starebbero vendendo come usate delle auto in realtà nuove, con 0 km percorsi. Pechino avrebbe quindi deciso di discutere della questione con i produttori (tra cui BYD e Dongfeng Motor) e alcune associazioni di settore, secondo la Reuters.

La Cina accusa il governo taiwanese di aver appoggiato centinaia di attacchi informatici

La polizia di Guangzhou ha accusato il governo taiwanese di sostenere un gruppo hacker che negli ultimi anni ha compiuto fino a mille attacchi informatici contro varie infrastrutture sensibili della Repubblica popolare, colpendo reti legate al sistema energetico, militare e governativo del paese. Nonostante i metodi utilizzati dal gruppo siano perlopiù “rudimentali” (e-mail di phishing, ad esempio), i tentativi di hacking sarebbero molto numerosi e persistenti nel tempo, sostengono le autorità cinesi. Gli ultimi attacchi informatici del gruppo hanno bersagliato una società tecnologica di Guangzhou, ma le indagini ricollegano gli hacker a centinaia di cyberattacchi avvenuti sulle reti di oltre dieci province cinesi negli ultimi anni.

Cina, esplosione impianto chimico fa almeno sei morti

Colonne di fumo nero continuano a coprire l’impianto chimico della Shandong Youdao, a Gaomi, città nella provincia orientale dello Shandong, dove martedì si è verificata un’esplosione che ha provocato il ferimento di almeno 19 persone e la morte di altre 6. Mentre scriviamo non sono ancora disponibili i risultati dei test sulla qualità dell’aria ma, secondo Reuters, alcuni residenti nella zona hanno deciso di lasciare le proprie abitazioni in via precauzionale. Inaugurata nell’agosto 2019, la fabbrica di Gaomi sviluppa e produce prodotti chimici utilizzati in pesticidi e prodotti farmaceutici. Due massicce esplosioni avvenute nel 2015 nella città portuale di Tianjin hanno spinto le autorità a introdurre leggi più severe sullo stoccaggio di sostanze chimiche. Ciononostante, incidenti analoghi – sebbene di proporzione inferiore – si sono verificati nuovamente anche nel 2023 e 2024, in varie parti del paese.

Lowy Institute: la Cina è diventata il maggior creditore dei paesi in via di sviluppo

Gran parte dei paesi in via di sviluppo deve più soldi alla Cina che agli stati membri del Club di Parigi. Lo riporta una ricerca del think tank australiano Lowy Institute, che segnala così una svolta nel ruolo di Pechino con i suoi partner del Sud Globale. Da fornitrice netta di capitali, la Repubblica popolare si troverà perlopiù a riscuotere dai paesi in via di sviluppo quanto le è dovuto, considerate le numerose scadenze dei pagamenti sui prestiti forniti da Pechino nell’ambito della Belt and Road Initiative (BRI). Quest’anno circa 75 degli stati più poveri del mondo devono ripagare alla Cina 22 miliardi di dollari complessivi per i finanziamenti cinesi nei progetti BRI, molti dei quali avviati intorno alla metà degli anni Dieci. Il debito di questi paesi supera di gran lunga l’erogazione di nuovi prestiti da parte di Pechino, scrive il Lowy Institute, anche perché negli ultimi anni il governo cinese ha ridotto i fondi da destinare ai suoi partner internazionali.

La questione presenta un duplice dilemma per la Cina. Se da un lato molti paesi chiedono a Pechino una ristrutturazione del debito, dall’altro il governo cinese si trova a fronteggiare pressioni interne per riscuotere i debiti e sostenere l’economia nazionale. “Resta da vedere in che modo ciò avrà un impatto sulla reputazione della Cina come partner per lo sviluppo [dei paesi più poveri] e sul suo messaggio più ampio di cooperazione Sud-Sud”, ha detto Riley Duke del Lowy Institute.

Forum Cina-Pacifico: nelle Salomone si teme l’influenza cinese sul governo

È iniziato mercoledì 28 maggio, a Xiamen, il terzo incontro tra i ministri degli Esteri della Cina e dei paesi del Pacifico. Il meeting durerà fino a giovedì ed è visto dagli osservatori internazionali come uno strumento per rafforzare l’influenza cinese sulla regione. Alla vigilia dell’evento un deputato delle Isole Salomone, Peter Kenilorea Jr, ha parlato al Nikkei delle sue preoccupazioni riguardo la crescente presenza di Pechino negli affari interni del paese. Secondo Kenilorea, la Cina potrebbe aver avuto un ruolo nelle recenti difficoltà incontrate dal primo ministro Jeremiah Manele, che a inizio maggio ha visto passare all’opposizione 10 parlamentari della sua coalizione, riuscendo tuttavia a evitare nei giorni seguenti un voto di sfiducia. Pur essendo pro-Cina, Manele a dicembre ha firmato un accordo di polizia con l’Australia che potrebbe aver indispettito Pechino, sostiene Kenilorea. Secondo il deputato, chi presenta una visione critica della Cina all’interno delle Salomone rischia sistematicamente di essere messo ai margini della vita politica del paese.

Negli ultimi anni la Repubblica popolare ha investito tanto nel Pacifico, e proprio un accordo del 2022 sulla cooperazione di polizia con le Salomone aveva causato una certa agitazione soprattutto negli Stati Uniti e in Australia.

Corea del Sud, ultimo dibattito televisivo prima delle elezioni presidenziali

Martedì 27 maggio si è tenuto l’ultimo dei tre dibattiti televisivi tra i candidati alla presidenza in Corea del Sud in vista delle elezioni del prossimo 3 giugno. È stato un confronto “acceso”, incentrato soprattutto sulle conseguenze della legge marziale dichiarata dall’ex presidente Yoon Suk-yeol a dicembre e sui problemi legali di Lee Jae-myung, il candidato progressista del Partito Democratico considerato il grande favorito dai sondaggi.

Lee è dato al 49% delle preferenze contro il 35% del suo principale rivale conservatore, Kim Moon-soo del Partito del Potere Popolare (PPP, il partito che era di Yoon). Seguono Lee Jun-seok del Partito Riformista (11%), forza politica conservatrice alternativa al PPP, e Kwon Young-kook del piccolo Partito Democratico del Lavoro della Corea. Nelle ultime settimane Kim ha recuperato una buona fetta dello svantaggio su Lee Jae-myung, ma il PPP non è riuscito a convincere il Partito Riformista a rinunciare alla corsa così da convogliare (virtualmente) l’11% di Lee Jun-seok sul suo candidato. Questi sono gli ultimi dati che si avranno a disposizione fino al voto: dal 28 maggio è vietata la pubblicazione dei sondaggi.

Intanto la polizia sudcoreana ha proibito all’ex premier e presidente ad interim Han Duck-soo di lasciare il paese, perché è al momento coinvolto nel processo per insurrezione a carico di Yoon. Come Han, anche l’ex ministro delle Finanze Choi Sang-mok non può viaggiare all’estero: entrambi sono stati interrogati dalla polizia il 26 maggio.