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In Cina e Asia – Gli 80 anni di Aung San Suu Kyi in carcere

In Notizie Brevi by Redazione

I titoli di oggi:

  • Aung San Suu Kyi festeggia gli 80 anni in carcere
  • La Cina punta sulle ex miniere per spingere il solare e smaltire pannelli
  • Cina, i tagli al budget Usa spingono Pechino a valutare i rischi del vuoto nei dati scientifici
  • Cina-Usa, tensione per le torri Huawei a Panama
  • Automotive cinese verso la produzione di chip 100% made in China entro il 2026
  • Il conflitto Israele-Iran complica la strategia regionale dell’India mentre Washington si avvicina a Islamabad
  • Thailandia: secondo partito lascia la coalizione di governo

Aung San Suu Kyi festeggia oggi il suo 80° compleanno in carcere, dove sta scontando una serie di condanne che potrebbero tenerla dietro le sbarre per il resto della sua vita. L’ex leader della Lega nazionale per la democrazia era stata arrestata dalla giunta dopo il colpo di Stato del febbraio 2021 con accuse che vanno dalla corruzione alla violazione delle restrizioni contro il Covid-19, e al momento sta scontando una condanna a 27 anni di reclusione. Il Guardian ha ottenuto una serie di riprese video e di registri risalenti al periodo 2022-2024 che documentano la vita della donna nel centro di isolamento, dove le condizioni a cui è sottoposta appaiono più dure rispetto a quelle della precedente detenzione, trascorsa per buona parte del tempo ai domiciliari, terminata nel 2010.

Da quando è stata incarcerata, il figlio Kim Aris ha affermato di aver sentito sua madre solo una volta tramite lettera, due anni fa. Sebbene continui a godere di enorme popolarità nel paese, lo status internazionale della “Lady” è stato macchiato dalla repressione della minoranza musulmana Rohingya, condotta dai militari, a cui Suu Kyi non ha saputo opporre resistenza.

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La Cina punta sulle ex miniere per spingere il solare e smaltire pannelli

La Cina sta guidando la riconversione delle vecchie miniere di carbone in centrali solari, unendo transizione energetica e supporto all’industria fotovoltaica colpita dall’eccesso di offerta. Ad affermarlo è l’ultimo report di Global Energy Monitor, che segnala la presenza di 90 impianti su siti dismessi, con una capacità di 14 gigawatt, e altri 46 progetti in arrivo. L’obiettivo è duplice: recuperare le aree degradate e trovare sbocco ai pannelli invenduti accumulati nei magazzini, mentre il rallentamento della domanda interna e i dazi esteri minacciano il giro d’affari delle aziende cinesi. A sostenere questa strategia ci sono finanziamenti pubblici e imprese statali come JinkoSolar, già coinvolta in iniziative simili in Europa.

Cina, i tagli al budget Usa spingono Pechino a valutare i rischi del vuoto nei dati scientifici

La decisione di Donald Trump di ridurre i fondi a diverse agenzie federali e sospendere la pubblicazione di alcuni dati scientifici starebbe spingendo la Cina a rivedere la propria dipendenza dalle informazioni Usa. Secondo fonti vicine al dossier, citate da Bloomberg, diversi enti cinesi – tra cui l’Accademia delle Scienze e l’Amministrazione meteorologica – stanno analizzando l’impatto delle misure americane e valutando se i dati raccolti internamente possano colmare le lacune create dalla manovra di Trump. Le ricerche sullo sbiancamento dei coralli nel mar Cinese Meridionale, per esempio, sono tra le prime a subire le conseguenze della chiusura dopo il fermo alle pubblicazioni della National Oceanic and Atmospheric Administration. A pagarne le spese, affermano gli esperti, sarà la cooperazione climatica tra Cina e Usa, mentre Pechino cerca di accelerare verso l’autosufficienza scientifica.

Cina-Usa, tensione per le torri Huawei a Panama

La Cina ha duramente criticato il piano statunitense di sostituire le torri Huawei a Panama con tecnologia americana, parlando di “influenza maligna” e accusando Washington di politicizzare questioni economiche e tecnologiche legate alla Repubblica popolare. Il progetto, promosso dall’ambasciata Usa con un investimento di 8 milioni di dollari, prevede la rimozione delle infrastrutture Huawei in 13 siti e l’installazione di nuove torri in quattro province. La Casa Bianca lo presenta come parte della strategia per limitare l’influenza cinese sulle infrastrutture critiche della regione. Anche il presidente José Raúl Mulino ha espresso disappunto per l’annuncio statunitense, accusando gli Usa di aver distorto scopo e modalità del piano, ingerendo negli affari interni del paese: “Panama non sarà campo di battaglia della rivalità Usa-Cina”. L’iniziativa arriva a seguito del ritiro del paese dalla Belt and Road Initiative deciso lo scorso febbraio.

Automotive cinese verso la produzione di chip 100% made in China entro il 2027

Le principali case automobilistiche cinesi — tra cui BYD, Geely, SAIC, Changan e Great Wall Motor — stanno spingendo per lo sviluppo di modelli dotati di chip interamente progettati e prodotti in Cina, con l’obiettivo di avviare la produzione di massa già dal 2026. L’iniziativa è sostenuta dal ministero dell’Industria e della Tecnologia dell’Informazione e mira a ridurre la dipendenza da fornitori esteri, in un contesto dove le crescenti tensioni con gli Stati Uniti minacciano la crescita del settore. Il governo ha fissato un obiettivo non vincolante per il 2027: raggiungere il 100% di componenti elettronici domestici nelle auto. Tuttavia, la transizione è complessa, soprattutto per i chip avanzati usati nei sistemi di guida autonoma, ancora prodotti perlopiù da Nvidia e Qualcomm.

Il conflitto Israele-Iran complica la strategia regionale dell’India mentre Washington si avvicina a Islamabad

L’attacco di Israele contro l’Iran potrebbe creare non pochi problemi al governo indiano. L’India, che mantiene rapporti strategici sia con Tel Aviv che con Teheran, rischia di perdere l’appoggio iraniano per il porto di Chabahar, progetto chiave per aggirare il Pakistan e rafforzare l’influenza di Nuova Delhi nella regione. L’instabilità, secondo gli analisti, potrebbe contribuire al rafforzamento del Corridoio Economico Cina-Pakistan, favorendo l’espansione cinese in Afghanistan e nei paesi limitrofi. Sul fronte energetico, l’India dipende per oltre l’80% dalle importazioni di petrolio dal Medio Oriente, compreso l’Iran. Con la Repubblica islamica indebolita cresce inoltre il peso geopolitico del Pakistan agli occhi degli Stati Uniti, che già considerano Islamabad un “partner eccezionale” nella lotta al terrorismo.

L’intensificarsi del conflitto potrebbe quindi tradursi in maggiore sostegno militare e finanziario al vicino pakistano. A rafforzare le preoccupazioni di Nuova Delhi è, inoltre, l’arrivo capo dell’esercito pakistano Asim Munir negli Usa con tanto di pranzo a porte chiuse presso la Casa Bianca ed endorsement a una candidatura di Trump a premio Nobel per la Pace. Martedì 17 giugno lo stesso premier indiano Narendra Modi ha riferito al presidente americano che Nuova Delhi gestirà sempre i negoziati con il Pakistan senza l’intervento di mediatori, anche dopo l’escalation di violenze registrate negli ultimi mesi.

Thailandia: secondo partito lascia la coalizione di governo

Mercoledì 18 giugno il partito thailandese Bhumjaithai (BJT) si è ritirato dalla coalizione di governo guidato dal Pheu Thai della premier Paetongtarn Shinawatra, lasciando l’esecutivo con una risicata maggioranza in un momento di tensioni interne e con la Cambogia. Il BJT, che era la seconda forza più grande dell’alleanza con 69 seggi alla Camera, ha deciso di lasciare il governo a seguito della pubblicazione online di un estratto di una chiamata privata tra Paetongtarn e l’ex premier cambogiano Hun Sen, nella quale la prima ministra, nel corso delle negoziazioni per ridurre le tensioni al confine tra i due paesi, ha criticato l’esercito. La chiamata è fatta circolare dallo stesso Hun Sen e ha finito col fomentare le critiche dei nazionalisti thai all’esecutivo. La defezione del BJT indebolisce la già fragile posizione di Paetongtarn, impegnata a gestire difficili incertezze economiche e la minaccia dei dazi americani: secondo vari analisti, a questo punto il governo rischia il collasso.