Il Vietnam 50 anni dopo la caduta di Saigon

In Sud Est Asiatico by Lorenzo Lamperti

Il 30 aprile, il paese del Sud-Est asiatico ha celebrato mezzo secolo dalla fine della guerra contro gli Stati uniti. Da allora, Hanoi è stata protagonista di un miracolo economico che l’ha resa uno snodo cruciale nelle catene di approvvigionamento globale. Ma i dazi di Trump minacciano la stabilità commerciale e diplomatica

“Una vittoria della fede”. To Lam, segretario generale del Partito comunista, definisce così quel 30 aprile 1975. Lui non era ancora maggiorenne, quando i carri armati nordvietnamiti sfondavano i cancelli del palazzo dell’Indipendenza e gli elicotteri americani decollavano dal tetto dell’ambasciata con a bordo gli ultimi marines in fuga. Immagini storiche, che chiudevano il sanguinoso conflitto che ha fatto pagare al Vietnam le conseguenze più “calde” della guerra fredda. Ieri, nel cinquantesimo anniversario della fine del conflitto e della caduta di Saigon, il Vietnam ha festeggiato. Con orgoglio, per i clamorosi passi avanti compiuti dal paese in questi decenni. E con la speranza di non finire nuovamente al centro di uno scontro tra grandi potenze.

Nella brulicante città che oggi si chiama Ho Chi Minh City, centro nevralgico della parte meridionale del Vietnam, si è svolta una grande parata. Jet d’addestramento, elicotteri e caccia di fabbricazione russa hanno sorvolato il palazzo dell’Indipendenza, mentre 18 cannoni da cinque tonnellate l’uno hanno sparato colpi di festa. Lungo Le Duan Boulevard, dal nome del leader che lanciò la stagione delle riforme del Doi Moi, si sono assiepate decine di migliaia di persone circondate da bandierine rosse con al centro rosso la stella gialla a cinque punte. Tra i diversi contingenti delle forze armate, per la prima volta hanno sfilato anche delegazioni militari di Cambogia, Laos e Cina, nonostante le irrisolte dispute territoriali tra Hanoi e Pechino nel mar Cinese meridionale.

La parata ha ricordato il 1975, certo. Ma lo ha fatto parlando soprattutto al presente: nel volto delle nuove generazioni, nei carri dedicati all’industria, alla tecnologia e al cyberspazio, nell’orgoglio di un paese che ha un ruolo sempre più centrale sulla scena globale. Protagonista di un miracolo economico che ha quadruplicato il pil pro capite nel giro di pochi decenni, il Vietnam ha elevato dalla povertà decine di milioni di persone. E da tempo attrae linee produttive avanzate e investimenti esteri in settori strategici come l’industria elettronica. Samsung, Foxconn, Amazon e Apple sono solo alcuni dei giganti tecnologici internazionali ad aver messo radici nel paese del Sud-Est asiatico, emerso come grande vincitore dalla guerra commerciale lanciata da Donald Trump durante il suo primo mandato per la sua capacità di attrarre chi cercava di aggirare i dazi anti cinesi.

Gli interessi economici hanno portato a una storica distensione col vecchio rivale americano, simboleggiata dalla visita di Joe Biden, che nel settembre 2023 è diventato il primo presidente statunitense in carica a varcare la soglia del quartier generale del Partito comunista di Hanoi. Come forse nessun altro, il Vietnam è riuscito finora a essere amico di tutti, ma arruolato da nessuno. Mettendo in pratica la sua celebre “diplomazia del bambù”, ha assunto una postura internazionale forte ma flessibile, in grado di produrre relazioni positive e diversificate. Basti ricordare i numerosi accordi di libero scambio, siglati tra gli altri con Unione europea e Regno unito, ma anche l’incredibile successione di visite dei più potenti leader mondiali: dopo Biden, nei nove mesi successivi Hanoi ha ospitato anche Xi Jinping e Vladimir Putin. A testimonianza della sua capacità di parlare con tutti, sfruttando le asimmetrie nei rapporti tra grandi potenze per rendersi indispensabile a tutti.

Talmente indispensabile che To Lam è stato il primo leader a parlare con Trump dopo il Liberation Day. E, subito dopo, Hanoi è stata la meta del primo viaggio all’estero del 2025 di Xi. Sintomo chiaro del ruolo cruciale giocato dal Vietnam nelle catene di approvvigionamento globali. Un ruolo che però è ora minacciato dai dazi della Casa bianca, che si sono abbattuti con particolare furia (46%) su Hanoi, che ha accumulato un enorme surplus commerciale nei confronti degli Usa. Il Vietnam, che peraltro si prepara al congresso del Partito comunista del prossimo gennaio, è ora chiamato a un nuovo miracolo diplomatico: trovare un accordo con Trump senza mettersi contro la Cina. Mai come ora, da quel 30 aprile 1975, i bambù sono scossi dal vento che tenta di piegarli dalla propria parte.

Di Lorenzo Lamperti

[Pubblicato su il Manifesto]