Bo Xilai è stato cacciato, ma il suo modello resiste. Le autorità vogliono infatti rafforzare gli investimenti pubblici nella città di Chongqing. Obbiettivo: promuovere lo sviluppo e non far rimpiangere l’ex segretario. Un altro indizio che indicherebbe che Bo sia scaduto proprio per le lotte tra fazioni. Demaoizzazione nel nome di Mao. Boizzazione senza il nome di Bo.
In un suggestivo ribaltamento semantico, le autorità centrali cinesi continueranno il programma politico del disgraziato ex leader di Chongqing; facendo però a meno di lui.
Case popolari, parchi industriali, rinnovamento urbano, infrastrutture, sostegno alle più svariate industrie: arrivano i soldi dello Stato nella metropoli diffusa più grande del mondo (32 milioni di abitanti), che sotto il quinquennale regno di Bo era riuscita a ad avere tassi di crescita impressionanti: 16.4 per cento l’anno scorso, 14.4 nei primi 3 mesi del 2012, record nazionale.
L’intento è chiaro: spingere ancora sullo sviluppo del grande ovest cinese – da sempre l’area più povera del Paese – e non far rimpiangere troppo il “piccolo Mao”, che continua a godere di venerazione tra la gente di Chongqing.
Lo strumento per attuare questo programma – annunciano i media cinesi – sarà la China Development Bank, il principale istituto di credito controllato dal Pechino, che ha firmato un accordo con la locale Commissione di supervisione e amministrazione delle attività di Stato, cioè l’organismo che controlla le imprese pubbliche.
Altri contratti sono stati stipulati con due developer (imprenditori edili) della città, incaricati di nuovi programmi di edilizia popolare, e con quattro aziende statali di investimento e risparmio gestito, che dovranno veicolare risorse verso le locali imprese pubbliche.
Si va in definitiva verso la riconferma di un modello che aveva scandalizzato l’Economist in un articolo di un paio di settimane fa (spesa pubblica, orrore!).
Oltre agli aspetti folkloristici, come il ritorno in auge dei canti maoisti, la spesa pubblica era infatti il tratto distintivo delle politiche di Bo, la cui eliminazione è stata quindi interpretata come l’esito di un conflitto tra due modelli concorrenti di governance: il “modello Guangdong”, cioè liberalismo economico con pragmatismo politico, e il “modello di Chongqing” appunto, fondato sul ruolo dominante delle imprese di Stato e sui tradizionali valori socialisti. Evidentemente, il secondo non era del tutto da buttare.
Lo prova il fatto che il sindaco di Chongqing, Huang Qifan, principale stratega economico di Bo, continua a restare in sella. Lui si è affrettato a giurare fedeltà al nuovo segretario del Partito locale, Zhang Dejiang, e va avanti nel suo lavoro.
A partire dal 2010, la municipalità ha investito 15 miliardi di dollari in 800mila appartamenti di edilizia convenzionata destinati ai poveri (e fa niente se alcune case si trovano a due ore dal centro cittadino).
Pechino ha addirittura preso in esame il modello per esportarlo in altre province, dato che ha il doppio merito di creare consenso e di puntellare l’economia in tempi di crisi.
Le risorse arrivano dalle imprese di Stato, che versano il 15-20 per cento dei propri profitti nelle casse del governo locale (si dice che entro il 2015 questa percentuale arriverà al 30 per cento). Tali risorse permettono a Huang di incrementare la spesa e di mantenere al contempo bassa la tassazione sulle imprese (15 per cento contro il 25 della media nazionale), attirando di conseguenza nuovi investitori.
E se Huang ha in passato sottolineato che il valore netto dei beni dello Stato a Chongqing è aumentato di sei volte tra il 2003 e il 2009, è pur vero che tra il 2005 e il 2010 il settore privato ha incrementato la propria quota nel Pil cittadino dal 50 al 60 per cento.
Continuare con queste politiche – devono aver pensato a Pechino – darà un segnale di fiducia agli investitori. Non a caso, il Chongqing Daily ha riportato a fine aprile le parole del sindaco Huang, secondo cui “per attirare il capitale straniero, Chongqing continuerà a migliorare come luogo in cui investire”; e il China Daily ci ha tenuto a ricordare che nei primi mesi del 2012 “il valore dell’output di imprese straniere e joint ventures è aumentato del 29,7 per cento anno su anno nel primo trimestre, e le imprese hanno espresso ottimismo circa le prospettive di crescita futura per l’economia locale”.
Nuovi soldi per dare solidità al “modello Chongqing” senza l’artefice del modello stesso. Sempre più, la caduta di Bo sembra una questione di fazioni interne.
* Gabriele Battaglia è fondamentalmente interessato a quattro cose: i viaggi, l’Oriente, la Rivoluzione e il Milan. Fare il reporter è il miglior modo per tenere insieme le prime tre, per la quarta si può sempre tornare a Milano ogni due settimane. Lavora nella redazione di Peace Reporter / E-il mensile finché lo sopportano.
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