Il Giappone imbocca la Via della Seta cinese e si allontana dagli Usa

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Shinzo Abe rompe gli indugi e dichiara che collaborerà con la Cina alla realizzazione della Nuova Via della Seta. Una scelta di natura commerciale e geopolitica, dovuta anche alla decisione di Trump di abbandonare il Tpp, che mette in discussione l’allineamento di Tokyo con Washington


A quasi quattro anni dal suo lancio e alla vigilia del 40ennale del trattato di pace e amicizia sino-giapponese, Tokyo scioglie tutte le riserve sulla Belt and Road Initiative (Bri), l’area di cooperazione economica euroasiatica sponsorizzata dalla Cina.

Lo scorso 4 dicembre Shinzo Abe parlando di fronte a un forum imprenditoriale sino-giapponese a Tokyo, ha annunciato che i due Paesi potranno collaborare «in modo cospicuo» alla realizzazione di quella che Pechino vorrebbe fosse la «Nuova Via della Seta». «Una risposta congiunta alla domanda di infrastrutture vigorosa del continente asiatico permetterà di contribuire non solo allo sviluppo dei nostri due Paesi (Giappone e Cina, ndr)», ha spiegato Abe, «ma alla prosperità di tutti i popoli dell’Asia».

Non è un caso forse che poche ore dopo l’annuncio del primo ministro, il primo quotidiano finanziario giapponese, il Nikkei Shimbun, ha rivelato l’intenzione di Tokyo di fornire sostegno alle aziende che intendono investire nella Bri attraverso il coinvolgimento di istituzioni finanziarie pubbliche — in particolare la Japan Bank for International Cooperation.

Negli uffici dei ministeri coinvolti esisterebbero già delle linee guida compilate dalla segreteria di gabinetto e dal ministero degli Esteri. L’assistenza finanziaria, scrive ancora il Nikkei, si concentrerà in alcune aree strategiche: la cooperazione in campo ambientale, la modernizzazione industriale e il miglioramento della struttura logistica.

Il primo e fondamentale ambito di cooperazione sarà l’ambiente. Da firmatari e promotori a livello internazionale degli Accordi di Parigi, Tokyo e Pechino puntano a ridurre le emissioni attraverso lo sviluppo congiunto di tecnologie in grado di ridurre quelle delle centrali a carbone e attraverso investimenti in energia solare, eolica e fonti energetiche rinnovabili.

Il governo giapponese inoltre punta a favorire progetti tesi allo sviluppo di reti elettriche affidabili nei parchi industriali che sorgono e sorgeranno lungo la Nuova Via della Seta e, infine, a sponsorizzare lo sviluppo di sistemi di sdoganamento digitalizzato lungo le tratte ferroviarie tra Cina e Europa.

Da tempo ambigua (aimai), come scrive il magazine online The Diplomat, verso il grande progetto cinese, l’amministrazione giapponese sembra aver cambiato direzione. E in maniera quanto mai decisa.

Uno dei motivi è di natura geopolitica: da una parte, il recente miglioramento dei rapporti con Pechino — alla cui base sembra però esserci una decisa spinta da parte delle comunità imprenditoriali dei due Paesi; dall’altra, il fallimento della Trans-Pacific Partnership, l’accordo di libero scambio tra 11 Paesi affacciati sul bacino del Pacifico, abbandonata dagli Stati Uniti per volontà del presidente Donald Trump.

L’appoggio alla Bri da parte del Giappone mette peraltro in discussione l’allineamento di Tokyo con Washington su una posizione di osservatori o di aperti oppositori rispetto ai piani di sviluppo regionale promossi dalla Cina attraverso la Bri e la Banca asiatica per gli investimenti e le infrastrutture nata su iniziativa di Pechino nel 2015. Già a luglio di quest’anno Abe aveva affermato che avrebbe chiarito la posizione del suo Paese circa i progetti cinesi una volta avute «garanzie» sull’apertura del progetto e sul contributo effettivo alla comunità internazionale. Tuttavia, durante la visita di Donald Trump in Giappone a inizio novembre, Tokyo era tornata a sottolineare l’importanza di fornire «infrastrutture di qualità» ai Paesi in via di sviluppo in Asia e Africa in quello che era sembrato un progetto parallelo e concorrente alla Bri.

Come chiarisce l’analista Miharu Izumi dalle colonne del portale finanziario Toshin 1, però, alcune grandi aziende giapponesi — come Taisei, colosso delle costruzioni, Hitachi, Mitsui e Mitsubishi — starebbero valutando positivamente l’impegno giapponese nella Bri. Anche perché il progetto è giudicato cruciale per la crescita del volume d’affari delle aziende giapponesi che hanno poli produttivi in Cina.

Non tutti sono però ottimisti sulla politica di sostegno alla Bri delineata dal governo di Tokyo. Nella maggioranza di governo di orientamento conservatore, e dove non mancano posizioni apertamente anticinesi, circola il timore che i fondi prestati per lo sviluppo possano essere reinvestiti nell’aumento delle capacità di difesa. E possano quindi ritorcersi contro il Giappone.

di Marco Zappa

[Pubblicato su EastWest]