Il Giappone corre in aiuto al Myanmar e chiude le porte ai Rohingya

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Shinzo Abe ha promesso ad Aung San Suu Kyi nuovi aiuti economici al regime, malgrado la condanna internazionale per la pulizia etnica in corso. E Tokyo ha accolto come rifugiati soltanto 18 Rohingya


Un miliardo di euro. Questa è la cifra che Tokyo devolverà a Nayipidaw in forma di prestito a tasso di interesse preferenziale per una serie di progetti tesi a favorire lo sviluppo locale del Paese del sudest asiatico. Tra i progetti, la costruzione di una linea ferroviaria tra Yangon e Mandalay, due delle città più importanti del Myanmar, incentivi agli agricoltori e alle piccole e medie imprese. L’accordo è stato trovato ai margini del vertice Asean di Manila lo scorso 14 novembre dal primo ministro Shinzo Abe e dalla consigliera di stato e ministro degli esteri birmana Aung San Suu Kyi.

Il nuovo pacchetto di prestiti rientra nell’ambito degli accordi presi da Abe e Suu Kyi durante la visita di quest’ultima a Tokyo a novembre dell’anno scorso. Alla base, considerazioni di tipo strategico e geopolitico: gli aiuti allo sviluppo sono tradizionalmente uno strumento diplomatico per estendere l’influenza giapponese all’estero — soprattutto nei paesi in via di sviluppo — e rimangono decisivi nel grande piano dell’amministrazione Abe di ridare protagonismo al Giappone sugli scenari internazionali.

Abe ha annunciato anche aiuti di emergenza per affrontare la crisi umanitaria dei Rohingya al confine con il Bangladesh e avrebbe invitato la controparte birmana a interrompere l’isolamento dello stato di Rakhine e a far passare gli aiuti umanitari. A questo impegno, si aggiunge quello del ministro degli Esteri giapponese Taro Kono che in queste ore si trova proprio in Bangladesh in occasione del 45esimo anniversario dell’apertura delle relazioni bilaterali.

In un’intervista al quotidiano locale The Daily Star, Kono ha condannato gli attacchi contro le forze di sicurezza birmane del 25 agosto e al tempo stesso condannato le rappresaglie sui civili. Kono ha inoltre ribadito gli impegni presi con Tokyo dall’amministrazione birmana — assistenza umanitaria, ritorno dei profughi e ricostruzione e misure per lo sviluppo regionale e l’allentamento delle tensioni tra le diverse comunità etnico-religiose. «Il Giappone — ha concluso Kono — continuerà a valutare ogni possibile mezzo di sostegno per risolvere questa grave e complessa questione in stretta collaborazione con il Bangladesh». Secondo la Nhk, Kono visiterà anche i campi profughi dove sono stati accolti i Rohingya in fuga dal Myanmar.

Per far fronte all’emergenza umanitaria, all’assemblea generale dell’Onu di settembre lo stesso Kono aveva promesso aiuti per 4 milioni di dollari in aiuto a Myanmar e Bangladesh. A questi si aggiunge un nuovo pacchetto da 15 milioni di dollari.

Nel 2017 oltre 600mila persone hanno attraversato il confine tra Myanmar e Bangladesh in condizioni disperate nel tentativo di sfuggire alle violenze. Secondo l’organizzazione per i rifugiati dell’Onu, la rappresaglia dell’esercito birmano nello stato di Rakhine è un «esempio da libro di testo di pulizia etnica».

Gli aiuti giapponesi rimangono però confinati alla dimensione economica. Nonostante le condanne della violenza e i ripetuti appelli sulla condizione dei Rohingya, poco è stato fatto in termini di politiche di accoglienza. Su 130 Rohingya richiedenti asilo, appena 18 hanno ricevuto l’ok delle autorità giapponesi. Altre quindici richieste sono al vaglio, tre delle quali provenienti da persone al momento recluse nei centri di detenzione per gli immigrati considerati «illegali». Ad oggi, secondo il Japan Times, in Giappone vivono in totale poche centinaia di Rohingya, tutti «confinati» a Tateyama, città industriale nella prefettura di Gunma, poco a nord di Tokyo, dove sono impiegati in stabilimenti produttivi.

Al di là degli aiuti, i Rohingya sono l’esempio più lampante delle rigide politiche migratorie del Paese arcipelago. E qualcuno come Zaw Min Htut, coordinatore della ong Rohingya Advocacy Network in Japan, crede che il Giappone «abbia il dovere» di fare di più. «Chiediamo che il governo giapponese richieda lo stop immediato degli attacchi violenti contro i Rohingya», ha detto Min Htut a ottobre di quest’anno. Tokyo «dovrebbe mostrare più generosità alle persone che soffrono».

di Marco Zappa

[Pubblicato su EastWest]