Ieri il crollo della borsa di Tokyo ha trascinato in basso le borse di mezzo mondo. Un’occasione per "spurgare" i mercati, spiega il broker Niccolò Mancini a China Files. Il pretesto? il rallentamento della produzione industriale in Cina, pronta a una difficile transizione economica dopo anni di crescita gonfiata. Le borse di mezzo mondo sono crollate ieri a seguito delle notizie che giungevano dalla Cina, dove l’attività manifatturiera appare in contrazione.
A maggio, il flash Purchasing Managers Index del Dragone è sceso per la prima volta in sette mesi sotto la soglia psicologica dei 50 punti – il limite che separa l’espansione dalla temuta contrazione delle attività – scivolando a 49,6 da 50,4 di aprile. La produzione sale lentamente, mentre i nuovi ordini dall’estero scendono. Anche la situazione occupazionale è peggiorata, tant’è che il presidente Xi Jinping ha compiuto il 14 maggio l’atto altamente simbolico di incontrare (e tranquillizzare) centinaia di futuri laureati a una fiera del lavoro a Tianjin.
Complice qualche notizia poco rassicurante che arriva dagli Usa, dove il presidente della Federal Reserve Bernanke ha lasciato intendere che nuove misure di stimolo dell’economia potrebbero essere all’ordine del giorno. La borsa di Tokyo è crollata, trascinando con sé Australia e Vecchio continente.
L’indice Nikkei è sceso del 7,3 per cento, registrando la perdita più profonda dal terremoto-tsunami del 2011. L’indice Hang Seng ha perso il 2,54 per cento, il maggior calo delle ultime sette settimane. In Cina, il Shanghai Composite è sceso dell’1,16 per cento, mentre l’australiano S&P/ASX 200 ha perso l’1,99. Milano, Parigi e Francoforte hanno perso il 2 per cento, Londra l’1,7.
La notizia in realtà ne contiene due. La prima riguarda le difficoltà dell’industria cinese o, meglio, la grande transizione economica del Dragone. La seconda, l’evento finanziario: il crollo dei mercati sulla scia di Tokyo.
E vediamolo dunque il dato negativo cinese, cioè la notizia numero uno. L’impressione è che sia l’ennesimo episodio della difficile trasformazione che sta attraversando la Cina. Prova ne sia che analizzando la contrazione dell’indice Pmi, emergono dati contraddittori: continua a tenere, anzi cresce, il settore immobiliare (sempre lui), però la contrazione maggiore è stata registrata dalle industrie del cemento e del carbone, che con il primo sono collegate. Scendono per altro anche i settori più avanzati, come quello della comunicazione e dello spettacolo.
Qu Hongbin, capo economista di HSBC (l’istituto finanziario che compila l’indice Pmi) in Cina, ha dichiarato al Global Times che la debole domanda interna e la riduzione degli ordini dall’estero hanno determinato la contrazione. Nella riconversione dell’economia da export-oriented a consumer-oriented, la Cina stenta insomma a diventare “moderna” e si trova a metà del guado: non invade più il mondo con le sue merci “povere”, ma non ha ancora un ceto medio sufficientemente spendaccione da rimpiazzare il mancato export.
Da anni, la crescita cinese è “drogata” dal settore immobiliare, divenuto ormai sinonimo di bolla speculativa e di investimenti che invece di prendere la strada di settori innovativi, si mettono al riparo del mattone, bene rifugio. Questo impedisce alla Cina di compiere il grande salto verso le produzioni ad alto valore aggiunto, crea diseguaglianza sociale (attraverso la speculazione edilizia e la corruzione a essa strettamente legata) e devasta il territorio. Il segnale giunto ieri è la conferma che la strada è ancora lunga e difficile.
Per quanto riguarda la seconda notizia, l’evento finanziario, è quindi vero che c’è un nesso tra le preoccupazioni che arrivano dalla Cina e il calo della borsa giapponese. Tuttavia, l’impressione è che le prime siano servite “a pretesto” per la seconda.
Abbiamo raggiunto Niccolò Mancini, broker sulla Piazza di Milano, che parla di occasione per far “spurgare” i mercati e così spiega: “Tokyo era salita del 45 per cento da inizio anno, le valutazioni sui titoli erano molto tirate, il dato negativo cinese ha fatto scattare le vendite riportando le valutazioni su livelli più accettabili e meno a rischio bolla. È possibile che le vendite proseguano ancora, così da far tornare attraenti i prezzi. Ai livelli attuali il rischio di acquistare era troppo alto e il mercato saliva praticamente per inerzia”.
[Scritto per Lettera43; foto credits: ibtimes.co.uk]