Edward Snowden, la fonte degli ultimi leaks americani che ha messo in serio imbarazzo l’amministrazione Obama, si nasconde a Hong Kong. Ma Hong Kong ha un accordo con gli Usa per cui nella maggior parte dei casi deve estradare. Attenzione però, dal 1997, quando è stata restituita alla Cina, quest’ultima ha possibilità di porre il veto.
Neanche il tempo di capire quale sia stato il gradimento di Cina e Usa rispetto ai due giorni, per un totale di otto ore, passati insieme da Obama e Xi Jinping, che un nuovo caso scuote i rapporti già in difficoltà delle due grandi potenze.
Si sapeva che uno degli argomenti più importanti di discussione tra i due presidenti sarebbe stato quello relativo agli attacchi informatici, alla ricerca di una cooperazione che potesse accontentare entrambe le parti.
La notizia, però, secondo la quale Edward Snowden, la fonte del Guardian per lo scandalo Prism, sarebbe rifugiato ad Hong Kong, colora di dubbi e nuove ipotesi ogni cosa.
Washington ad esempio, forse nel tentativo di confondere le acque sulla reale entità dello scandalo – cittadini americani e stranieri spiati via web e telefono, un autentico attacco alla privacy – sfodera qualche dubbio sul tempismo di scandalo e rivelazioni, facendo chiaramente intendere che dietro a tutta la vicenda ci possa essere la Cina.
La questione è esplosa poco prima del summit tra Obama e Xi Jinping, proprio nell’ambito di un incontro che doveva occuparsi di sicurezza informatica e infine è arrivata la notizia che la fonte si trova a Hong Kong, di fatto in Cina. Per gli Usa sono sospetti, che fanno quasi una prova.
E per Obama deve essere stato uno smacco l’affermazione di Snowden, secondo il quale a Hong Kong spera di trovare le libertà che mancano negli Stati Uniti.
Pechino non si è ancora espressa ufficialmente, ma ora il pallino è nelle mani delle autorità cinesi. Secondo gli accordi stipulati nel passato tra Hong Kong e Stati Uniti, di fronte ad una richiesta di Washington, Hong Kong potrebbe estradare il giovane ex agente Cia, ma c’è sempre la possibilità di un veto cinese.
Secondo gli accordi, infatti, Pechino può porre il veto per l’estradizione solo se questa mette a rischio la «difesa, gli affari esteri, o affari di interesse pubblico della Cina», un’ipotesi che sembra applicarsi solo ai cittadini cinesi.
La situazione ricorda quando Wang Lijun, ex braccio destro dell’epurato e potente Bo Xilai, si rifugiò nel 2011 nel consolato americano di Chengdu.
Allora gli Stati Uniti non vollero tenersi la patata bollente e consegnarono Wang Lijun ai funzionari pechinesi, nonostante l’importanza politica delle dichiarazioni dell’ex poliziotto, che di fatto hanno segnato il futuro politico di tutto il paese.
Washington a questo giro, può essere si aspetti che il favore venga ricambiato, mentre da Pechino circolano voci che la Cina non voglia impegnarsi in questo tipo di contesa. Se Washington vorrà Snowden, è probabile dunque che possa ottenerlo.
[Scritto per il Manifesto; foto credits: venturebeat.com]