Il raggiungimento di un consenso senza precedenti ai colloqui sui cambiamenti climatici di Parigi e la firma dell’omonimo accordo di 196 paesi – su 196 presenti – segna una svolta, almeno in superficie, nel confronto tra inquinatori di ieri e quelli di oggi e domani. L’India, che appartiene ai secondi, si mostra felice per il traguardo storico mondiale, ma l’agreement di Parigi metterà a repentaglio la crescita sul breve-medio termine.In precedenza avevamo rilevato come l’India fosse destinata a giocare un ruolo centrale negli esiti del Cop21, ritrovandosi in qualche modo capofila di tutti quei paesi che da un accordo rigido sulla riduzione in tempi brevi delle emissioni inquinanti avrebbero avuto tantissimo da perdere. Ora, con l’accordo firmato a Parigi dai delegati di 196 stati, in India la stampa inizia a decostruire l’entusiasmo ufficiale (imposto dalle circostanze: l’accordo di Parigi, considerando gli attentati di Parigi e il carico emotivo del contesto, doveva per forza uscire bene), evidenziando i problemi che l’adesione al nuovo piano mondiale di riduzione delle emissioni porterà alla crescita indiana.
Gran parte dei grattacapi arriveranno a causa di questa frase contenuta nel testo dell’accordo: i paesi si impegnano a raggiungere i propositi dell’accordo fornendo «flussi finanziari in accordo col percorso verso una diminuzione dei gas serra e la creazione di uno sviluppo climaticamente resiliente».
Sull’Indian Express si indica che «questa riga potrebbe essere usata dai paesi sviluppati per confrontare l’India sui suoi progetti di nuove centrali a carbone (che al momento soddisfano oltre il 60 per cento del fabbisogno indiano, in cerscita) , sostenendo che non rientrino nel percorso di riduzioni dei gas serra».
Il nodo è sempre quello: l’India ha bisogno di costruire nuove centrali a carbone subito, e ha bisogno di farlo utilizzando i fondi di altri, magari in joint venture, attirando investitori stranieri. Con la clausola di cui sopra, New Delhi teme che potenziali investitori possano tirarsi indietro – lasciando il paese al palo senza poter contare su finanziamenti stranieri che invece contava di avere presto, e in ordini di grandezza ambiziosi – sostenendo che continuare a realizzare centrali inquinanti non sia in linea col «percorso di riduzioni dei gas serra» contenuto nell’accordo di Parigi.
C’è anche un problema di tempi stringente, nonostante l’accordo di Parigi non proponga al momento dei vincoli precisi circa quanto e come ridurre le emissioni: dal 2020 – cioè, politicamente parlando, dopodomani – entrerà in vigore l’accordo di Parigi, assieme ad alcuni sistemi di controllo – ancora da stilare, e ci sarà battaglia su questo – per vedere chi e come si sta impegnando per rientrare nell’obiettivo di massima, contenere l’aumento delle temperature sotto i due gradi centigradi entro il prossimo secolo (facendo il più possibile per non sforare gli 1,5).
E su quei sistemi di controllo – che sostituiranno le indicazioni vaghissime di «il più possibile» e «entro i due gradi centigradi» – si giocherà la partita che per ora è stata rimandata: da un lato Usa e Ue non hanno alcuna intenzione di vedere certificate nero su bianco – e quantificate – le proprie «responsabilità storiche» all’inquinamento complessivo del pianeta Terra; dall’altro, India e il resto dei paesi in via di sviluppo – esclusa la Cina, che su queste cose tratta direttamente con Washington posizionandosi fuori dal gruppone degli "in via di sviluppo" – recriminano il diritto di poter inquinare anche loro per raggiungere i livelli di sviluppo dei «primi inquinatori», che lo fecero quando ancora nessuno parlava di gas serra e rischi ambientali.
Si dovrà vedere quindi come verranno stilati questi sistemi di controllo: il timore indiano è che verranno fatti in modo da appiattire le responsabilità di Usa e Ue, concentrandosi esclusvamente sui dati di emissioni contemporanei, facendo tabula rasa di come, perché e per colpa di chi oggi tutti gli stati sono costretti a impegnarsi per uno sviluppo più verde.
Sul lungo termine rimane comunque lo slancio in avanti indiano rispetto alla diffusione dell’energia solare. New Delhi, facendosi promotrice della International Solar Alliance che dovrebbe creare una piattaforma di scambio di tecnologie e una rete virtuosa per lo sviluppo del solare lungo la superficie terrestre contenuta tra i due tropici, è in prima fila per quella che potrebbe diventare la principale risora energetica «alternativa» al carbone fossile.
E la sede amministrativa dell’alleanza sarà proprio a New Delhi.
[Scritto per East online; foto credit: latimes.com]