Dal 2017, i libri di storia, geografia, società, politica e economia in uso nei licei giapponesi avranno il 60 per cento di riferimenti in più alle diatribe territoriali asiatiche di Tokyo. E no, anche se pare, non si tratta di un annuncio pubblicitario. Ma, anzi, del risultato di anni di lobby da parte di gruppi revisionisti sempre più influenti nella politica contemporanea giapponese. Il ministero dell’Istruzione (Mext) ha approvato 24 nuovi libri di testo per le scuole superiori che rifletteranno maggiormente la «visione del governo» su alcuni temi caldi come le controversie territoriali con i vicini asiatici (Corea del Sud e Cina).
I nuovi testi in uso sui banchi di tutto il Giappone a partire da aprile 2017, dice il quotidiano Asahi, incorporeranno infatti le linee guida pubblicate dal governo nel 2014 sul territorio giapponese. Nel pamphlet diretto a insegnanti e case editrici, le isole contese di Takeshima — conosciuta come Dokdo in Corea del Sud — e delle Senkaku — o Diaoyu per la Cina — sono considerate parte integrante del territorio giapponese insieme con i «territori del Nord» — anche conosciute come isole Kurili — contesi con la Russia.
In tutto, ha spiegato un solerte funzionario del Mext alla stampa, i riferimenti alle isole «contese» dell’arcipelago sono aumentate di 1,6 volte rispetto ai testi attualmente in uso.
Come spesso succede in queste occasioni, i governi di Seul e Pechino hanno risposto a stretto giro, rispettivamente convocando l’ambasciatore giapponese al ministero degli Esteri sudcoreano e diramando un comunicato in cui si riaffermava la sovranità cinese sulle isole contese del Mar cinese orientale.
Dal 2012, il governo giapponese ha lanciato una nuova politica educativa atta a promuovere maggiormente il patriottismo nelle scuole del paese arcipelago.
Un vecchio pallino del premier Shinzo Abe e del suo entourage che già nel 2006, durante il primo governo Abe, avevano favorito la revisione della legge fondamentale sull’educazione inserendo un «comma sul patriottismo» che riportasse al centro degli obiettivi dell’istruzione pubblica «il rispetto delle tradizioni e della cultura» alla base dell’amor patrio.
Nel suo sforzo conservatore nel campo dell’istruzione, il governo ha individuato nei libri di testo la chiave per portare la «nazione» fuori da quello che la destra giapponese chiama «il regime postbellico», una sorta di complesso instillato nei giapponesi fin dalla scuola, fondato sulla rinuncia all’orgoglio nazionale e sulla costante autocritica per il ruolo del paese nella seconda guerra mondiale.
Per politici conservatori come Abe, è questo atteggiamento mentale a tenere il paese del Sol levante ancorato alla sua stagnazione economica lunga ormai due decenni.
Non sono infatti solo le questioni territoriali a occupare l’agenda revisionista del governo. I libri saranno obbligati a fornire la versione ufficiale —prevedibilmente più «soft»— su molte questioni storiche dibattute, come quella delle comfort women, le donne rapite e costrette a prostituirsi per l’esercito giapponese tra gli anni ’30 e ’40 del Novecento, o del massacro di Nanchino del 1937, o ancora dei pogrom anti-coreani seguiti al grande terremoto del Kanto del 1923.
Il sistema di verifica ministeriale sui libri di testo è in realtà oggetto di contenziosi da decenni. Come racconta un dettagliato articolo sul portale nippon.com, già negli anni ’60 alcuni autori di libri di testo avevano protestato contro le ingerenza del ministero, che solo negli anni ’90, dopo una sentenza della Corte suprema che condannava gli interventi «arbitrari» e «illegittimi» del Mext, si sono ridotte.
È nel decennio successivo però che si assiste a notevoli passi indietro, anche in conseguenza di una crescente influenza politica di associazioni revisioniste — come la Nippon Kaigi o la Società giapponese per la riforma dei libri di storia — e della loro possibilità di esercitare pressioni sul Mext.
Scrive Hiroshi Mitani, sociologo dell’Università di Tokyo:
«Alcuni politici giapponesi e gruppi avrebbero potuto esercitare il proprio potere per forzare i testi di storia il cui orientamento era rimasto relativamente liberale. L’emergere di movimenti guidati dalla Società giapponese per la riforma dei libri di storia (Atarashii rekishi kyokasho o tsukuru kai) […] hanno mostrato che un tale pericolo era concreto».
Oggi più che mai. Secondo i calcoli di Reuters, oltre l’80 per cento dei componenti dell’attuale amministrazione giapponese — compreso il premier, consigliere della Nippon Kaigi — e una maggioranza di parlamentari oggi in carica fa parte di una qualche associazione di stampo nazionalista o revisionista.
[Scritto per East online; foto credit: koogle.tv]