Siamo ufficialmente abitanti del villaggio di Bollophur, periferia di Santiniketan, periferia di Bolpur, a tre ore da Calcutta, Bengala Occidentale. Questi sono i nostri diari.
Come abbiamo potuto lasciarceli sfuggire così?
I Prince Dance Group sono una trovata orientalista, sono tutto quello che vorremmo sentirci raccontare dall’India verso la conclusione del tigiquattro dell’ora di pranzo, o fra le pagine dello speciale dell’inviato di Grazia, e invece li abbiamo fatti passare quasi inosservati.
I Prince Dance Group hanno una storia che manco Gregory David Roberts avrebbe saputo inventare di meglio, una storia di ventenni del ghetto, di rivincita e occhi di bue.
La mente della compagnia, Krishna Reddy, faceva il muratore a cottimo a Bombay, prima di riscuotersi dall’alienazione proletaria e rendersi conto che il suo sogno era quello di fare il coreografo. Bombay gli avrà dato alla testa? No.
Krishna torna nella sua regione, l’Orissa, e raccatta una ventina di amici, chi contadino, chi manovale, chi poliomelitico, chi zoppo (questi ultimi, fra l’altro, specializzatisi in break dance). Cominciano ad allenarsi in un tempio diroccato di Kali, l’unica infrastruttura a loro disposizione, oppure sulla spiaggia di Gopalpur. Poi arriva la grande occasione: India’s got Talent.
I Prince Dance Group attaccano al cuore hindustano, si dipingono coi colori della bandiera e intavolano una coreografia di un patriottismo scelleratissimo. Ministri in lacrime, giudici in sollucchero, lodi, osanne, “è sulle spalle di contadini, operai e poracci come voi che si poggia la grande India!” biascica il giudice fra un singhiozzo e l’altro, “Ma noi ci vergognavamo a dire che siamo poveri sennò voi vi pensavate che stavamo qui solo per vincere tutti i soldi”, ribatte il coreografo contorto dal pianto.
Geni.
Fra i premi che si portano a casa i ragazzi del PDG dopo le straordinarie performance annoveriamo: cinque milioni di rupie, una Maruti, e un pensierino dal governatore dell’Orissa, dieci milioni di rupie per aprire un’accademia di danza, in cui, su esplicita richiesta di Krishna Reddy, le ragazze non sono ammesse, sennò ai ballerini gli va la testa alle vacche e non si impegnano più a dare il massimo.
Insomma zoppi sì ma donne no, queste le priorità per le selezioni ai provini.
Coraggiosi, sentimentali, semplici come una trama di Ravi Chopra, ce li vogliamo ricordare così, tutti spalmati di argento a ricapitolarci i dieci avatara di Vishnu con colonna sonora degna dei peggiori bar di Bhubaneshwar.