I Diari di Bollophur – Lo yoga senza pantajazz

In by Simone

Siamo ufficialmente abitanti del villaggio di Bollophur, periferia di Santiniketan, periferia di Bolpur, a tre ore da Calcutta, Bengala Occidentale. Questi sono i nostri diari.
Negli ultimi giorni la minaccia si faceva sempre più pressante, sia da parte di Carola che dall’entourage del proprietario di casa, regista di teatro grotovskyano bengalese, che di seguito chiameremo Il Regista.
“Ma perché non vieni anche tu a fare yoga la mattina?” mi ha chiesto Il Regista.
Le sessioni mattutine di yoga iniziano alle 8:00, un orario per me proibitivo salvo casi di estrema necessità che sicuramente non si configurano nelle lezioni di yoga.
Carola invece, mossa da fervente entusiasmo, è diventata subito una ultras del padmasana, e ogni mattina puntuale la sveglia – per lei – suona alle sette e mezza.
“Troppo presto, non ce la faccio ad alzarmi. Faccio yoga nel letto fino alle nove e mezza” rispondevo io a Il Regista, finché le sessioni yogiche non sono state spostate alle otto di sera.
In Italia orario da calcetto, qui orario da hatha yoga, yoga posturale – dicono.
All’insegna della vita sociale della campagna di Bollophur, tre giorni fa sono stato portato al cospetto di Sadhu Biswajit (leggi: bisshogìt).

Sadhu Biswajit
 

Flashback: un paio di anni fa Carola mi convinse a partecipare ad una lezione di prova di yoga in zona S. Lorenzo, Roma. Il posto era uno di quei centri new age dal nome evocativo tipo “Il terzo occhio” o “Il nido del Chakra” e l’insegnante di yoga era una biondona americana sulla cinquantina intenta a spiegare le posizioni citando nomi in sanscrito con l’accento del mid-west ed insistendo su quanto tutti noi presenti dovessimo sentire il nostro piede “largo”: studentesse bruttine in pantajazz in visibilio, mamme sprint sulla cinquantina con tuta acetata rosa adoranti e io a sentirmi un deficiente, gratis.

Mi presento all’appuntamento con Sadhu Biswajit molto carico, con tanta voglia di fare bene.
I racconti entusiastici di Carola – “ho imparato a mettermi entrambi i piedi dietro la testa!” – lasciano intendere che la sfida psico-fisica sarà maschia e tenace.
Quindi niente pantajazz per me, bensì pantaloni freak di tela giallini e maglia arancione shocking raffigurante la sagoma der Bufalo di Romanzo Criminale – scambiato dai presenti per una nota banditessa della zona uccisa in un agguato.
Il senso, più o meno, è quello.

Se in occidente siamo abituati a litanie indecenti su presunti flussi di energia che fluiscono all’unisono col respiro di Gaia, chakra disposti lungo la spina dorsale che si aprono in un mistico aleggiare di Aum in palestre ancora impregnate di sudore della precedente lezione di GAG, qui Biswajit (cinquanta chili scarsi di muscoli, dreadlock naturali arrotolati sul capo, ciondoli e aggeggi vari penzolanti al collo) ammaestra le folle in un religioso silenzio.

Ci disponiamo in cerchio, siamo una decina e il gruppo è variegato in sesso, età e provenienza: dai 20 ai 70 anni, dall’Italia al Bengala Occidentale passando per Francia e Germania, pendiamo tutti dalle labbra di Biswajit che, poco loquace, proferirà verbo molto raramente.
Al fianco del Maestro, l’allievo prediletto – Il Tablista, sentirete di nuovo parlare di lui – ha il compito di mostrare le posizioni a tutti noi novizi, che intanto stiamo sciogliendo tutto le giunture scioglibili, consci però – ad imperitura memoria dell’ineffabilità del samsara – che lo Scioglimento Ultimo, la Quiddità dei legamenti, l’Equanimità dei tessuti cartilaginei, rimarrà un obiettivo irraggiungibile ai più.

I primi esercizi mi gasano: stenditi a terra e porta le gambe a candela; mettiti supino e unisci le mani dietro la schiena a mo’ di preghiera; rimettiti steso a terra e solleva a candela gambe e busto aiutandoti con le braccia.
Facile, mi dico, tre anni di inattività sportiva e sto meglio dei Playmobil.
Arriva il momento del padmasana, la posizione del loto. Gambe incrociate tenendo però i piedi appoggiati sugli interno-coscia opposti.
Biswajit incrocia senza difficoltà, Carola a fianco a me idem. Io metto la prima gamba al suo posto ma la seconda niente, non c’è verso.
Mi guardo intorno imbarazzato, provando a recuperare e mettermi in padmasana dandomi uno slancio con la schiena.
Nulla, solo dolore alle caviglie, un dolore che mi accompagnerà per tutta la sessione di esercizi, mentre sconsolato sussurro a Carola “Non ci riesco, non ce la faccio! Mi fa male!”. “Piano piano” dice lei, buddhica nel suo padmasana perfetto.

Biswajit invece, direbbero a Roma, sta na frappa. Gli mancano solo la palma, il mare e la batida de coco.
Una volta in padmasana, iniziano gli esercizi che definirei “circensi”: cammina con le ginocchia tenendo le mani giunte, solleva tutto il corpo con le mani facendole passare in mezzo alle ginocchia, sciogli il padmasana e porta entrambe le gambe dietro la testa mentre tieni le mani giunte e ti appoggi alla schiena.
Nel limite del possibile tutti gli vanno dietro tranne il sottoscritto, Il Regista – quasi settantenne – e Il Francese a fianco a me che, vagamente pingue, non riesce ad eseguire nemmeno le posizioni più elementari.
Biswajit – nel tentativo di aiutarlo – si lascia andare alla prima frase della serata: “Ki obostha!”, fedelmente traducibile con “Mamma mia come stai messo ragazzo mio!”

I tentativi di seguire il gruppo si fanno sempre più goffi, l’acido lattico scorre a fiumi, caviglie in fiamme nel tentativo di incrociarmi in sto benedetto padmasana.
Sono sudato e mi fa male tutto, mentre davanti a me Biswajit continua il suo show in silenzio, alzando il corpo a candela appoggiandosi sulle mani, sulla testa e avambracci e – sberleffo ultimo – trovando la via del padmasana senza aiutarsi con le mani, impegnate assieme alla testa a mantenere in perfetto equilibrio lo scheletro muscoloso del guru, perpendicolare al terreno.

I novizi, diventati ora passivi spettatori, ammirano il Maestro a bocca aperta in un silenzio rotto da qualche risatina schizofrenica tipo Seh vabbè, non ce la farò mai… e dai miei eloquenti, seppur sussurrati a mezza voce, ‘tacci tua!

Si conclude, come nella migliore delle tradizioni, con lo stretching e con cinque minuti di respiro alternato: inspira profondamente da una narice, espira lentamente dall’altra.
Dopo questo giochino di iperventilazione, storditi e fiaccati da un’ora di incastri corporali che l’Inquisizione Spagnola era un torneo di briscola, ci fermiamo fuori a magnificare le prodezze di Sadhu Biswajit.
Il Sadhu, ricomposto nella sua tunica bianca e senza un filo di sudore, passa in rassegna i suoi allievi acciaccati ed offre una bella sigaretta indiana a tutti – per la precisione, una bidi.

Hai fatto un’ora di hatha yoga, sei lì che sprizzi di salute, e fumati ‘sta sigaretta no?