Siamo ufficialmente abitanti del villaggio di Bollophur, periferia di Santiniketan, periferia di Bolpur, a tre ore da Calcutta, Bengala Occidentale. Da oggi, questi saranno i nostri diari.
La ricerca della casa ha inizio a metà luglio, stagione di monsoni. Calcutta, a due ore mezzo di treno, come ogni anno si trasforma in una Venezia molto meno poetica e decisamente più puzzolente.
Noi, a Santiniketan – paesino nella campagna bengalese glorificato dall’università delle arti fondata dai Tagore agli inizi del Novecento – stiamo che è una meraviglia: caldo asfissiante, secchiellate di pioggia concentrate in poche ore che decimano i miliardi di zanzare onnipresenti – e che giustamente, pioggia finita, tornano all’attacco più incazzose di prima – una stanza in affitto per poggiare gli zaini, due biciclette prese in prestito dai tribali della zona.
Meno di un mese per trovare una casa, il visto è in scadenza e per il nostro ritorno, previsto per l’inizio di novembre, vogliamo avere un tetto sopra la testa.
In tutta Santiniketan non c’è un bar, figurarsi un’agenzia immobiliare; grazie al semi-bilinguismo della mia compagna, decidiamo di comportarci come qualsiasi bengalese con un minimo di senno farebbe: andare a culo.
Mettiamo in giro la voce e lasciamo il numero di cellulare a una decina di persone, aprendo così il fianco all’istinto da stalker seriale che affiora in ogni indiano possessore di recapito telefonico di donna occidentale, fidanzata o meno non importa: in bangla – la lingua del Bengala Occidentale – non esiste il termine “fidanzato” senza un’accezione di impegno ufficiale al matrimonio.
Fidanzato = tra poco mi sposo (non il nostro caso).
Dopo una serie di fallimenti davanti ad abitazioni tutto sommato accettabili – una aveva anche la stalla per le mucche compresa nel prezzo – ma a fronte di prezzi decisamente fuori mercato, in virtù del rincaro automatico quando si tratta di stranieri, chiediamo aiuto a Nana, un’amica di Calcutta che frequenta qui l’università. “Andate da Asim, lui vi aiuterà”.
Asim (leggi “oscim”, in bangla – nomen omen – “sconfinato”) è il tabaccaio di Ratampalli, il quartiere della movida studentesca di Santiniketan grazie alla presenza del banchetto del chai (té speziato) di Nabadwip. Il peggiore del paese, ma il più economico.
La tabaccheria di Asim è grande come una cabina telefonica, stretta tra il verduraio a destra e una specie di negozio di lampadine ed aggeggi elettrici a sinistra. In posizione strategica, ogni mattina Asim apre il suo chioschetto e tutta Santiniketan, prima o poi, passa dalle sue parti: chi compra sigarette, chi lecca-lecca, chi bustine di shampoo – che qui vendono in comodi monodose da una rupia l’uno – o di detersivo per i panni.
Negli anni Asim ha sviluppato una rete di conoscenze invidiabile; come la Gestapo, ha occhi ed orecchie per tutto, monitora costantemente le dinamiche della cittadina e cerca di far fruttare la gamma di informazioni incamerate.
Cerchi una lampadina a basso risparmio energetico? Asim ti indica dove comprarla.
Qual é il miglior negozio di dolci di tutta Shantiniketan? Asim conosce il proprietario.
Ti servono delle biciclette usate, un tostapane, un armadio a tre ante, un pezzo di ricambio del motorino? Un amico di Asim sta proprio cercando qualcuno a cui vendere ciò che ti serve, torna domani e ci mettiamo d’accordo.
Il servizio che Asim rende alla comunità, quando si tratta di transazioni in denaro rilevanti, chiaramente non è gratuito. Veniamo messi in contatto con un paio di proprietari di casa, a patto di pagare al tabaccaio – in caso di successo – una mensilità dell’affitto.
Purtroppo per noi, e per Asim, le case visionate non ci hanno soddisfatto.
La maggior parte delle abitazioni dove uno straniero acconsentirebbe a vivere – escludendo quindi le case di fango e paglia in periferia, con la cucina di fango esterna ed un buco in cortile come bagno, en plein air – sono ricavate dal secondo piano delle famiglie della Santiniketan bene: appartamenti arredati con tutti i comfort ma temporaneamente vacanti, in attesa che i figli prendano moglie e si ritrasferiscano all’ovile, pronti ad occuparsi della famiglia allargata.
L’idea di vivere con l’ansia di una wannabe suocera bengalese al piano di sotto, pronta ad incursioni al secondo piano a base di chai, fritti, dolcetti, assaggini, consulenze culinarie non richieste, delucidazioni sul rapporto di coppia tra la mia compagna ed il sottoscritto e tour di parenti e amiche wannabe suocere a vedere da vicino i videshi (gli stranieri) ha definitivamente allontanato tutte le chances di stabilirci nella parte urbanizzata del paese.
A pochi giorni dalla partenza obbligata, la svolta.
Il proprietario della stanza presa in affitto, vecchia conoscenza di Carola – la compagna-fidanzata ma non ci sposiamo a breve-semibilingue – ci offre di risistemare ed occupare la sua casupola in mezzo alla foresta: venti minuti di motorino dal centro abitato, pavimento di terra, tetto di tegole e legno, due camere, doccia (lusso! ma solo acqua fredda), cesso alla turca e un disimpegno dove poter ricavare un cucinino a gas. E’ nostra.
A due mesi e mezzo di distanza dall’accordo siamo tornati in India. Il pacco coi viveri dall’Italia è arrivato pochi giorni fa, la casa sta prendendo forma, manca solo il frigorifero (ma a quello speriamo ci penserà Asim).