borse cinesi

I dazi reciproci di Trump spaventano l’Asia

In Economia, Politica e Società, Relazioni Internazionali by Lorenzo Lamperti

Grande preoccupazione soprattutto tra gli alleati. Crollano le borse in Giappone, Corea del sud e a Taiwan. Tokyo e Seul si schierano con Pechino contro il protezionismo e accelerano su accordo di libero scambio e cooperazione in settori strategici. Forse tatticismi negoziali più che sostanza, ma il segnale di disagio nei confronti degli Usa è forte

Il giorno della liberazione di Donald Trump spaventa l’Asia. Non solo e non tanto il rivale numero uno degli Stati uniti, la Cina, quanto semmai i loro alleati e partner. Ieri, nelle capitali asiatiche c’era parecchia agitazione. Sia sui mercati finanziari, sia nei governi, che hanno organizzato incontri speciali a porte chiuse per provare a intuire l’impatto dei dazi reciproci e valutare le possibili contromisure. Le borse sono andate letteralmente a picco. Tokyo ha perso il 3,9%, Seul il 3%, Taipei addirittura il 4.2%. Più contenuti i cali dei listini cinesi: -1,6% a Shanghai e Hong Kong, -0,8% a Shenzhen. Dopo la caduta dei titoli del settore auto in seguito ai dazi della scorsa settimana, stavolta a precipitare sono stati i titoli tecnologici e digitali, da Hua Hong Semiconductor ad Alibaba Health Information Technology fino a SoftBank, che ha nel suo portafoglio un ampio pacchetto di investimenti nel settore. A Taiwan c’è grande paura per l’industria, a dir poco strategica dei chip: le maggiori perdite sono state di Mediatek, Foxconn (principale fornitore di iPhone per Apple) e del colosso TSMC, che ha appena ceduto a Trump annunciando un investimento da 100 miliardi di dollari negli Usa. Il presidente Lai Ching-te ha fatto sapere di aver presieduto una riunione speciale del governo per approntare “vari piani di risposta”.

Chi può spingersi oltre, lo fa. È il caso di Giappone e Corea del sud. Furiose per la mancata esenzione sui dazi auto e spaventate dall’arrivo di nuove tasse aggiuntive, Tokyo e Seul stanno mandando messaggi chiarissimi a Washington con una serie di mosse tattiche. Bluff o meno, lo dirà il tempo, ma intanto è assai rilevante che i due storici alleati dell’America in Asia abbiano fatto sapere di voler rilanciare la cooperazione commerciale con la Cina.

Venerdì scorso tra i 40 manager internazionali ricevuti da Xi Jinping a Pechino, c’erano anche i leader dei giganti dell’elettronica e dei chip Hitachi, Samsung, SK Hynix. C’era anche Akio Toyoda, presidente di Toyota, che 24 ore dopo i dazi di Trump ha ringraziato il leader cinese per il via libera a una nuova fabbrica di auto elettriche Lexus a Shanghai senza bisogno di joint venture con aziende locali.

A Seul, domenica è andato poi in scena un vertice dei ministri del Commercio di Cina, Giappone e Corea del sud. Evento raro, visto che un trilaterale del genere non si teneva dal dicembre 2019. Dall’incontro è emerso un triplice messaggio: no ai dazi, no al protezionismo, sì al libero scambio. Nella dichiarazione finale, i tre ministri si schierano esplicitamente a favore di “un sistema commerciale multilaterale aperto, trasparente e basato sulle regole”. Cina, Giappone e Corea del Sud chiedono una riforma dell’Organizzazione mondiale del commercio, per rafforzare le sue funzioni. Soprattutto, è stata annunciata l’intenzione di accelerare le trattative per raggiungere un accordo di libero scambio. Non sarà un’impresa semplice e il riavvicinamento potrebbe essere fondato soprattutto su ragioni tattiche, ma si tratta comunque di uno sviluppo in parte clamoroso, viste le forti tensioni che hanno diviso i tre paesi nel recente passato. Soprattutto dopo il rafforzamento dell’alleanza di Giappone e Corea del sud con gli Stati uniti e persino con la Nato.

Assai significativa l’inclusione di quattro settori strategici, tra quelli in cui si prevede un rafforzamento della cooperazione. Vale a dire industria tecnologica verde (comprese rinnovabili e nucleare), trasformazione digitale, intelligenza artificiale e minerali critici. Si tratta di un chiaro segnale agli Stati uniti, che da anni provano ad arruolare definitivamente Tokyo e Seul nelle cosiddette “catene di approvvigionamento democratiche”, con iniziative come la “Chips Alliance”, con l’obiettivo di impedire a Pechino l’accesso alle tecnologie più avanzate. Il segnale è che i due alleati di Washington potrebbero provare a smarcarsi dall’applicazione di alcune delle restrizioni richieste dalla Casa bianca. A meno di non ricevere un trattamento migliore sui dazi. Trump ha detto che “spesso gli amici sono peggiori dei nemici”. La Cina sta provando ad approfittarne per migliorare rapporti che temeva quasi compromessi.

Di Lorenzo Lamperti

[Pubblicato su il Manifesto]