Perché la grande fiera milanese abbia successo si spera anche e soprattutto sui visitatori d’Oriente. Alla fine, in base ai biglietti finora prenotati, i cinesi dovrebbero arrivare in circa un milione. Sarà poi vero? E, soprattutto, chi sono quelli che intendono fare tappa a Milano e dintorni? Abbiamo provato a capirlo da Pechino. “Nel mio cellulare ho seicento-settecento italiani su milleseicento contatti e voglio sfruttare questa opportunità”. Feng Daming, classe 1956, parecchi anni trascorsi nelle Marche, un figlio che studia a Milano e un grande amore per il Belpaese che chiede solo di essere ricambiato.
Concretamente.
Guiderà due delegazioni all’Expo di Milano. La prima è composta da imprese immobiliari, perché il mattone comunque tira sempre. Ma il signor Feng ha un’idea evoluta: i suoi ospiti parteciperanno a incontri con architetti italiani nei padiglioni dell’Expo milanese per imparare a costruire sostenibile, qualcosa di cui la Cina ha un bisogno disperato.
La seconda delegazione corrisponde invece al suo “sogno”. “Li porto in giro io, niente agenzie: a San Giminiano, Matera, posti dove i cinesi di solito non vanno, conosceranno i monumenti e il cibo italiano e impareranno uno stile di vita”. Sul secondo anello delle circonvallazioni pechinesi, Feng ha infatti una showroom di mobili dall’italianissimo nome di CasaVera e spera che la sua delegazione “alternativa” sia la leva per farla crescere: “Voglio andare al di là dei mobili, il mio negozio deve diventare come una vostra piazza, un luogo d’incontro dove i cinesi possano conoscere l’Italia”. Nella Pechino in cui le piazze non ci sono, a parte la famosissima e blindata Tian’anmen, il signor Feng ne vuole una tutta sua e made in Italy. “Devono saperlo, per esempio, che anche la macchina da scrivere l’avete inventata voi”.
Sono gli entusiasti come lui, attivatori di contatti e importatori di pezzetti d’Italia in Cina, le figure su cui l’Expo deve probabilmente fare leva. Perché secondo i numeri che circolano, i visitatori provenienti da oltre Muraglia potrebbero dare la svolta al faticoso parto dell’esposizione universale. E da lì, far nascere nuove opportunità per tutti.
Oltre un milione di turisti per tre, anzi cinque padiglioni, di cui uno addirittura alla stazione Centrale. Sono queste le previsioni che si snocciolano a proposito della presenza cinese all’Expo di Milano. Se le proiezioni immaginifiche e ufficiali ci trasmettono l’idea di un’esposizione ben assestata sulla rotta Milano-Pechino, al momento i numeri reali sono tuttavia meno esaltanti: “13-15mila visti individuali concessi finora”, dice l’ambasciatore italiano a Pechino, Alberto Bradanini.
Ma essendo noi nell’area Schengen, anche altri Paesi europei stanno facendo visti a cinesi che poi, auspicabilmente, passeranno anche per l’Expo. Lo spiega un’altra fonte dell’ambasciata, secondo cui i visti rilasciati dalla rete diplomatico-consolare italiana in Cina nel 2014 sono stati più di 390mila, per un aumento del 13 per cento circa rispetto al 2013. Di questi, l’84 per cento erano quelli turistici. Per il 2015, si spera nel grande boom.
“Il picco è previsto a luglio e agosto”, spiegano dall’ambasciata, e per favorire l’afflusso di figli del Celeste Impero si sono velocizzate le procedure: “Se tutto è in regola, per un visto individuale ci vogliono 36 ore”. Il settanta per cento dei turisti viaggia in un gruppo organizzato dai tour operator cinesi: “Stabiliscono tappe in tutta Europa e, tra queste, anche Milano”.
“Il nostro viaggio attraversa Germania, Francia, Svizzera, dura quattordici giorni e si conclude con il programma Italia nel profondo”, spiega Li Mengran, dell’agenzia cinese Utour. “Prima li portiamo a respirare l’atmosfera dell’Expo, poi alle Cinque Terre, Pompei e alla casa di Giulietta”, cioè Verona, o almeno quella fantastica che aleggia nei desideri pop di molti cinesi. Per concludere degnamente il viaggio, non si può far mancare la Torre di Pisa e “il grande centro commerciale The Mall”, che per la cronaca si trova a Leccio Reggello, nei pressi di Firenze. “Il viaggio costa 14.999 Renminbi a persona (quasi 2.300 euro) e il biglietto per l’Expo è compreso nel prezzo”. La signora Li aggiunge che il gruppo è composto soprattutto da gente di mezza età, “che ha più tempo libero e denaro per viaggiare”. Che si aspettano dall’Europa? “Soprattutto turismo e shopping”. Eccolo lì, il nuovo ceto medio cinese, il target della xiaokang shehui – società del benessere moderato – parola d’ordine e obiettivo politico per la leadership di Pechino.
“Se i turisti cinesi non saranno tanti, c’è pure da capirli”, spiega un’italiana da anni a Pechino, che preferisce restare anonima. “Hanno pochi giorni di vacanza all’anno, figurati se li sprecano per l’Expo. Ma alla fine ci andranno, se non altro per ragioni di mianzi”, cioè “faccia” quella cosa che non si può assolutamente perdere: la Cina ha investito più di tutti sulla kermesse milanese. C’è da confermare lo status di potenza emergente e, visto il tema di Expo – “nutrire il pianeta” – anche il proprio impegno verso un mondo più giusto e più verde. Per l’ambasciatore Bradanini, non è mica così semplice: “Le autorità di Pechino possono anche promuovere la presenza cinese all’Expo, ma poi la gente reale si fa gli affari suoi. A questo punto, il problema è soprattutto l’Italia, perché la promozione del turismo è stata demandata alle regioni e manca una politica unitaria, che promuova il Paese come un sistema unico. Il cinese medio non sa niente dell’Umbria o della Calabria, come facciamo a mandarceli se non c’è neppure un portale multilingue come invece ha la Francia? Così, Parigi ha più turisti cinesi di tutta l’Italia messa assieme”.
Vittorio Sun Qun, Managing Director della Beijing Design Week e da anni figura di mediazione tra Italia e Cina ha invece a che fare soprattutto con gli imprenditori e i funzionari che, inquadrati in delegazioni ufficiali, prenderanno forse la rotta della Pianura Padana. “Ho l’impressione che saranno meno dei numeri previsti – spiega – e non capisco perché si continui a paragonare l’esposizione di Milano con quella di Shanghai di cinque anni fa. Altro contesto, altre dimensioni”.
Tuttavia, a differenza di quanto è generalmente percepito in Occidente, per i cinesi l’evento Expo non è un rimasuglio del passato industriale, in cui ogni Paese esibiva meraviglie altrimenti ignote: “Per loro, l’esposizione di Milano è soprattutto una finestra aperta su affari futuri”, spiega Sun Qun. “Andranno a caccia di ciò che fa tendenza, la tecnologia, la comunicazione, il design”. Per cavalcare questa tigre, lui agirà fuori dall’area Expo strettamente intesa e con partner italiani creerà in pieno centro, via Farini, il China Design Pavilion. “Esporremo progetti di ricerca sull’impiego del design contemporaneo all’interno del patrimonio culturale tradizionale cinese. Stiamo lavorando con le province del Sichuan, del Guangxi e dello Zhejiang, per selezionare alcuni progetti e portarli al nostro padiglione”.
Visto che il tema di Expo è “Nutrire il pianeta”, i visitatori d’Oriente si attengono giudiziosamente e hanno un occhio di riguardo per il settore alimentare: “Anche in Cina, parlare di cibo non significa più riempirsi semplicemente la pancia”, spiega Antonino Laspina, direttore dell’ufficio Ice (Istituto nazionale per il Commercio Estero) di Pechino. Lui, con il progetto Expo is Now vuole portare delegazioni ufficiali cinesi a Milano, utilizzare la metropoli Lombarda come “luogo formativo”, e da lì partire per il resto del Paese in un percorso di conoscenza della nostra varietà culinaria.
“Bisogna fare sì che l’Italia diventi per loro il luogo in cui risolvono i problemi alimentari”, spiega, il che significa trovare nella penisola le competenze che spieghino loro come lavorare i prodotti, produrre biologico o, per lo meno, sano.
Secondo Laspina, oltre che alle delegazioni ufficiali, bisogna puntare quindi su tutti quei cinesi che vengono in Italia come turisti ma tenendo sempre ben d’occhio le occasioni di business. Una figura ibrida tra svago e lavoro decisamente tipica oltre Muraglia. “Bisogna utilizzare l’Expo come calamita d’attenzione sull’Italia, fidelizzarli al nostro Paese”.
Anche per lui, i cinesi hanno una propensione all’Expo diversa dagli occidentali snob: “L’effetto dell’esposizione di Shanghai del 2010 si fa ancora sentire. A quel tempo, le autorità lavorarono bene nel creare l’evento e pure oggi, anche se l’esposizione sta dall’altra parte del mondo e la organizza qualcun altro, il cinese non vuole perdersela. C’è stata una vera e propria volgarizzazione dell’idea di Expo”.
Cosa si può dunque fare per accoglierli bene, i cinesi? “Bisogna migliorare le infrastrutture di comunicazione – spiega Vittorio Sun Qun – con più Wi-fi e servizi in mandarino collegati a WeChat”, cioè l’onnipresente servizio di messaggistica istantanea (Weixin in cinese) di cui, se si vive in Cina, non si può più fare a meno. Ma anche in Occidente, complice una pubblicità con Leo Messi come testimonial, l’alter ego orientale di WhatsApp comincia a diffondersi.
Milano allora si attrezza, o almeno ci prova. Tra i servizi offerti ai visitatori d’Oriente, addirittura un bollitore in tutte le camere d’albergo: si sa che ai cinesi l’acqua piace calda. E a colazione, è garantito il zhou, il porridge di riso che a noi sembra insapore e annacquato ma a loro no. L’ha promesso pochi giorni fa Alessandro Mancini, direttore ticketing dell’Expo, secondo quanto riporta China Radio International. Il cibo è infatti collocato al terzo posto tra le aspettative, dopo il Wi-fi in camera e la possibilità di pagare con carte di credito UnionPay (il circuito made in China), secondo un sondaggio del sito Hotel.com.
E se poi andranno in Via Montenapoleone a fare shopping – ci andranno, ci andranno – potranno beneficiare di un buon dieci per cento di sconto: Milàn col coeur in man, come da tradizione. Sperando che i cinesi, in mano, ci abbiano il contante.