Lo hukou deve essere riformato. In Cina lo sostengono in molti, non ultimo il premier uscente Wen Jiabao. Retaggio della Cina maoista, oggi lo hukou impedisce la creazione di una società dei consumi e non garantisce a tutti i cinesi gli stessi livelli di welfare. Toccherà alla nuova dirigenza studiare una soluzione. Immaginatevi un cittadino italiano che da un paesino dell’entroterra ligure, ad esempio, si trasferisce a Roma per lavoro. Pensate se una volta sistematosi e iniziate le sue attività lavorative, scoprisse che la sua cittadinanza – e con essa i suoi diritti – sono limitati alla zona geografica di provenienza.
Ovvero immaginatevi se il cittadino del paesino a Roma dovesse pagare per i servizi sanitari, la scuola per i figli e per tutti i servizi che il welfare italiano – ancora – garantisce. Si tratterebbe di una discriminazione che presumibilmente spingerebbe questa persona a tornare rapidamente indietro o a non partire mai. Una simile situazione in Cina è tutt’ora in vigore e si chiama hukou, un certificato di residenza che uncina i diritti alla propria zona di nascita.
Venne istituito nel 1958 in piena epoca maoista e rappresenta una valida cartina di tornasole per leggere gli ultimi sessant’anni di storia cinese, compresi i giorni più vicini a noi. Lo hukou venne istituito con lo scopo di distinguere tra lavoratori rurali e lavoratori urbani: in quel periodo lo stato sociale cinese, quello che riusciva a garantire, era erogato direttamente dalle Comuni in campagna e dalle danwei – le unità di produzione – in città.
Questo sistema era nato per la necessità riscontrata dal Partito Comunista di effettuare un rigido controllo sugli spostamenti della popolazione e non invogliare eccessivi trasferimenti di persone dalle campagne alla città. Era lo specchio di una Cina ancora agricola, rurale, come tradizionalmente è stata. C’era anche l’intenzione di non creare uno sviluppo incontrollato delle città. Lo hukou di fatto stabiliva diritti diversi per gli abitanti delle zone rurali e quelli delle città. Nell’epoca delle riforme i controlli sugli spostamenti vennero allentati.
Alla Cina, grazie agli investimenti stranieri, serviva forza lavoro in grado di rispondere alle esigenze di mercato. Vennero quindi consentiti spostamenti e nacquero politiche di alloggi popolari e servizi sostitutivi (come le scuole per i figli dei cosiddetti “lavoratori migranti”). Lo hukou aveva ancora un proprio ruolo, assicurando un ricambio costante dei lavoratori e consentendo al paese di diventare la “fabbrica del mondo”.
In parallelo però la Cina si sviluppava, aumentando quel fenomeno noto come chengshihua, urbanizzazione. Nuove città, aumento esponenziale della massa dei migranti, oltre 200 milioni all’anno. Fino al 2011 quando il censimento nazionale decretò che per la prima volta nella sua storia la Cina era diventato un paese con una maggioranza di popolazione “urbana”.
Questo fenomeno, insieme alla necessità di modificare il proprio processo produttivo, sembra aver dato il definitivo colpo di grazia ai difensori dello hukou. Riformarlo è ormai un’esigenza del Partito, per diversi motivi: in primo luogo perché se devono aumentare i consumi interni, le grandi masse di popolazione che si spostano devono poter consumare e aumentare il proprio livello di vita, anche grazie ad un nuovo sistema che garantisca un minimo di diritti (tenendo presente che anche chi ha lo hukou perchinese, ad esempio, finisce per pagare quasi per intero le prestazioni mediche).
In secondo luogo, insieme all’urbanizzazione sono sopravvenuti nuovi elementi. Il primo è di carattere antropologico: i migranti attuali non sono più quelli di trenta o quaranta anni fa, disposti a mettersi sulle spalle il sogno cinese e portarlo avanti ai limiti dell’umano. Oggi i lavoratori migranti sono giovani, nati dopo gli anni 80 e non sembrano avere granché intenzione di passare la propria vita in linea, magari producendo componenti elettroniche per l’Iphone con il quale organizzano proteste e scioperi.
Questo elemento ne ha comportato un altro: oggi in Cina in alcune zone considerate vitali per la produzione, sud est ma non solo, manca la manodopera, perché i giovani piuttosto che fare una vita di stenti in città appena possono tornano in campagna. In alcune zone della Cina si sono sperimentate forme di allargamento dello hukou, con sistemi a punti, come a Zhongshang, dove i migranti possono ottenere 80 punti con una laurea di quattro anni, 50 punti per l’acquisto di una casa. Al contrario, vengono detratti 60 punti alle coppie che hanno più di un figlio.
Ed ecco la necessità, sottolineata anche dal premier uscente Wen Jiabao, di riformare il sistema dello hukou, non più in grado di determinare una razionale organizzazione sociale del paese. Non si tratta di un fulmine a ciel sereno: da anni esperti e studiosi sottolineano il problema. Tanto che in alcune zone sono in corso, così come per la politica del figlio unico, altro caposaldo della Cina rivoluzionaria in procinto di cadere, alcuni esperimenti, come lo hukou a punti. In attesa di un ripensamento generale del welfare con caratteristiche cinesi.
[Scritto per Il Manifesto; foto credits: eastasiaforum.org]