Huawei sotto inchiesta

In by Simone

Le polemiche contro il colosso cinese di telecomunicazione Huawei non accennano a diminuire. La settimana scorsa un documentario in onda sul britannico Channel Four ha dimostrato il livello di lobbismo che l’azienda cinese è riuscita a mettere in atto nei confronti del Governo britannico.
La Huawei, che l’anno prossimo aprirà un centro di sviluppo e ricerca a Helsinki e che recentemente ha dovuto ribadire di non avere nulla a che spartire con il Governo cinese e di non rappresentare una minaccia per la sicurezza statunitense, è ora sotto inchiesta in Gran Bretagna per aver “influenzato” partiti e gruppi parlamentari con donazioni che in due anni sono arrivati alla considerevole cifra di circa 112mila euro.

Come riportato anche dal Telegraph, gli importi comprenderebbero quasi 15mila euro per un viaggio in Cina nel 2011 (con visita a Huawei) del deputato Mark Hendrick e di sua moglie che sarebbero stati invitati dall’azienda anche alla finale di Supercoppa che si tiene nello stadio olimpico di Pechino e i cui biglietti hanno un valore che supera i 700 euro.

Non solo. 62mila euro sarebbero stati “donati” al gruppo parlamentare che rappresenta gli interessi di tutti i partiti per gli affari in Asia orientale e diverse altre somme di diversa entità sarebbero state impiegate dall’azienda per garantire viaggi in Cina a importanti deputati, sia liberali che conservatori. Stando a quanto viene documentato, l’azienda aveva anche fissato incontri con il primo ministro David Cameron e ministri di alto livello nel Dipartimento di Economia Aziendale.

Altri documenti testimoniano come alcuni eventi delle campagne elettorali, sia dei conservatori che dei libera democratici inglesi, siano stati finanziati da Huawei con assegni di oltre 10mila euro. L’azienda avrebbe inoltre assunto John Suffolk, un tempo a capo dei servizi d’informazione britannici, come dirigente dell’ufficio di sicurezza informatica mondiale. E avrebbe fatto entrare nel suo consiglio consultivo Clement-Jones, ex amministratore delegato dei liberal democratici, Sir Andrew Cahn, ex dirigente di UK Trade & Investment e la baronessa Wheatcroft, importante esponente dei conservatori. Insomma, l’accusa è quella di voler portare il mondo politico britannico al suo interno per poi ricevere un trattamento di favore.

E non basta, Reuters ha documentato solo qualche giorno fa che l’azienda cinese è anche dietro quello che gli attivisti dell’Iran Human Rights Documentation Center denunciano da diversi anni: ovvero che il Governo iraniano intercetta le telefonate e le attività su internet dei privati cittadini, stanando così quelli che dal suo punto di vista sono “pericolosi dissidenti”.

I documenti in mano a Reuters dimostrerebbero infatti che la Huawei avrebbe provato a  vendere all’iraniana MobinNet, il primo provider a banda larga del Paese, un sistema informatico sviluppato in Cina chiamato "Lawful Interception Solution" già nel 2010. Il sistema sarebbe stato in grado di “supportare le richieste speciali dei servizi segreti di monitorare in tempo reale il traffico tra i suoi clienti”. Ovviamente l’azienda cinese ha respinto anche queste accuse e, attraverso un suo portavoce, ha fatto sapere a Reuters che non sta alla Huawei “confermare o negare l’utilizzo di quali tipi di sistemi usino altre aziende”.

Ma cosa c’è dietro il colosso di telecomunicazioni cinesi? Ad agosto di quest’anno la copertina dell’Economist titolava significativamente: chi ha paura della Huawei? E spiegava che l’azienda negli ultimi anni aveva aumentato i propri numeri, arrivando a un giro d’affari di 32 miliardi di dollari, 140mila dipendenti e oltre cento sedi sedi in tutto il mondo. Spiegava che ormai era in grado di competere non solo sul mercato mondiale delle infrastrutture tecnologiche di comunicazione, ma anche su quello dei cellulari o dei sistemi di cloud computing, grazie alla qualità e non solo alla competitività dei prezzi che l’avevano contraddistinta nei primi anni della sua ascesa.

L’Economist denunciava comunque i lati oscuri che hanno caratterizzato l’azienda sin dalla nascita e che hanno contribuito alla diffidenza con cui viene vista da molti mercati mondiali, primo tra tutti quello degli Stati Uniti. Intanto, pur essendo una cooperativa, è stata fondata da Ren Zhengfei – ex ingegnere militare – che riuscì a entrare nel Partito comunista cinese nel 1978. Oggi Ren detiene solo l’1,42 per cento delle azioni Huawei, ma la sua presenza aumenta il sospetto, già molto radicato, di  una  vicinanza pericolosa tra esercito, partito e azienda. Questo nonostante le garanzie che dovrebbe assicurare il suo essere affidata a un management sempre più internazionale.

L’inchiesta britannica in ogni caso arriva in un momento particolarmente sensibile per l’azienda cinese. In Gran Bretagna è infatti in atto un’ interrogazione parlamentare sulla presenza di Huawei sul territorio nazionale per riconsiderare in considerazione il senso di pericolo per le infrastrutture britanniche causato dalla sua ascesa. Forse proprio in seguito a uno studio del Congresso Usa che mette in luce come Huawei e Zte sono sospettate di avere forti legami con il governo e con l’esercito cinesi e che quindi “minacciano la sicurezza degli Stati Uniti e per questo devono essere tenute lontano dal mercato americano”. Per gli stessi motivi anche l’Australia ha tenuto fuori la Huawei dal progetto nazionale della banda larga.

A seguito dell’inchiesta giornalistica di Channel Four il portavoce della Huawei ha pubblicamente dichiarato: “Sono felice di confermare quelle che sono informazioni pubbliche”. E ha aggiunto: “Siamo un’azienda privata e uno dei maggiori investitori del Regno Unito. Attualmente diamo lavoro a 800 persone, ma la forza lavoro dovrebbe aumentare fino a raggiungere le 1500 unità entro il 2015”. Chissà se la Gran Bretagna avrà veramente la forza di portare avanti la sua inchiesta parlamentare fino a raggiungere risultati concreti.

[Scritto per Lettera43]