Due date: 26 settembre 2014-18 giugno 2015. In autunno, esplode il movimento Occupy, che chiede una "democrazia genuina" nell’ex colonia britannica; a primavera, il locale parlamentino boccia invece la riforma elettorale voluta da Pechino. Certo, tutto cominciava ben prima e nulla è ancora finito, ma in questi nove mesi Hong Kong ha smentito la propria nomea di monocoltura finanziario-commerciale, per gettarsi a capofitto nella politica. Ecco gli articoli di China Files che ricostruiscono l’intera vicenda. Il LegCo boccia la proposta
Il 18 giugno, il Consiglio Legislativo di Hong Kong ha bocciato la proposta di riforma elettorale per le elezioni del “chief executive” del 2017. Il draft, fotocopia di quello voluto da Pechino e causa scatenante del "movimento degli ombrelli", concedeva il suffragio universale ai circa 5 milioni di elettori cittadini, ma restringeva la lista dei candidati a due o tre, filtrati da un comitato elettorale di 1200 notabili. Affinché passasse, erano necessari i 2/3 dei voti del LegCo, il numero non è stato raggiunto. A questo punto è probabile che la riforma democratica si interrompa per i prossimi quattro anni, tuttavia lo scenario è cimunque in evoluzione.
Ma facciamo un passo indietro.
L’autunno di Hong Kong
Premesse
La città espropriata: storia, cultura, futuro incerto
La sfida di Shanghai
Le avvisaglie: la lotta dei portuali nel 2013
26/09/2014: il giorno di Occupy
Le video-interviste del giorno prima
La cronaca degli eventi
Come si è arrivati alle manifestazioni
Pechino-Hong Kong: l’alleanza indegna
Il governatore Leung
Una visione a 360°
La parabola del movimento
La cronaca convulsa dei primi nove giorni
L’esplosione del movimento: audio (interventi radiofonici)
Cosa vuole Occupy?
Io, cane sciolto
Il punto di svolta
Cinesi o non cinesi?
La contraddizione all’interno del movimento
Chi vuole tornare alla normalità?
La città divisa
Fallisce la prova di forza
Fine del movimento
Da fine dicembre a giugno, il confronto sulla riforma elettorale avviene soprattutto a livello istituzionale, ma nella società diffusa restano le divisioni. Un esempio? Il calcio