A maggio si terrà la nuova edizione della Fiera internazionale dell’arte di Hong Kong, una delle piattaforme più importanti del panorama artistico asiatico. Tra grandi gallerie e celebri nomi stranieri c’è però da chiedersi se l’evento rispecchia davvero la scena artistica cinese. La scorsa settimana si è tenuta la conferenza stampa della fiera internazionale dell’arte di Hong Kong. La quinta edizione si terrà come di consueto nel Convention & Exhibition Center dal 17 al 20 maggio, con una’nteprima per inviti il 16 maggio.
La fiera, in soli cinque anni, è riuscita a diventare una delle più ambite per le gallerie internazionali. La qualità e la vastità dell’evento, infatti, riflettono a pieno ciò che il mercato dell’arte asiatico è diventato negli ultimi anni. Non solo dal punto di vista economico ma anche da quello del marketing.
Quest’anno la Fiera si è allargata leggermente aumentando di solo quattro il numero di partecipanti, ma, stando a ciò che è stato sottolineato in conferenza stampa, il numero di gallerie cinesi si è fatto molto più incisivo arrivando a 30 su un totale di 268.
Ovviamente, anche quest’anno L’Hong Kong Fair organizzerà workshop e conferenze e ospiterà uno spazio dedicato all’esibizione di sola arte asiatica.
La curatrice giapponese Yukiu Asegawa sarà incaricata di gestire mille metri quadri e mostrare il meglio degli artisti asiatici attuali. La dottoressa Asegawa, dopo una laurea in legge, ha ottenuto il suo master in arte presso la Tokyo University e ha curato insieme ad altri diverse Biennali, tra cui quella dell’architettura di Venezia (2010) e di S.Paolo (2010).
Hong Kong, grazie alla sua posizione di collegamento tra Cina e occidente e al suo sviluppo storico artistico molto diverso dalla Cina continentale, non è mai stata marginale nella scena artistica asiatica.
E, di fatto, il successo di questa fiera dimostra come di base ci sia la volontà, da parte della piccola isola, di non lasciarsi sommergere dalla grande Cina, cercando di mantenere la sua posizione di collegamento.
Sull’isola, infatti, stanno avvenendo numerosi cambiamenti grazie all’unione di enti già presenti, come l’Asian Art Archive ed il Para Site Space.
Inoltre, secondo le ultime notizie, con quest’anno dovrebbero approdare grandi nomi delle gallerie internazionali quali Gagosian e White Cube. Senza contare i progetti già in avvio presso la Central Police station.
Si tratta di un museo che verrà realizzato attraverso la rivalutazione di una vecchia stazione di Polizia inutilizzata, sembra mantenendo buona parte della struttura degli spazi interni.
Non dimentichiamoci inoltre il mercato delle aste, che grazie all’arrivo di Sotheby e Christie, già nel 2004, è diventato il terzo mercato mondiale.
Eppure, al di là di tutto questo, appare qualcosa di vagamente assurdo. Innanzitutto, il direttore dell’Hong Kong Fair, Magnus Renfrew, che veniva posto nel 2009 come uno delle persone più influenti sulla scena artistica cinese da Cans ( una rivista specializzata nel settore), non è cinese e non ha avuto un educazione in Asia.
Chi gestirà la stazione di Polizia diventata museo sembra non sarà cinese. Il posto sarà occupato da David Elliott, un curatore e specialista di arte cinese e russa.
E anche chi seguirà il progetto di riqualifica del museo-stazione non sarà uno studio cinese ma il celebre studio Herzog & de Meuron, che in Cina ha seguito diversi progetti tra cui il famoso “nido” delle Olimpiadi.
Quest’anno l’Hong Kong Fair ha sottolineato in diversi modi come la presenza delle gallerie cinesi siano aumentate. Non possiamo affermare il contrario. È anche vero, tuttavia, che nella lista pubblicata dal sito interent e dal comunicato stampa vengono inserite come cinesi gallerie che di fatto sono nate altrove e che hanno una sede in Cina o i cui direttori non sono cinesi ma stranieri.
Ad esempio, vengono indicate come cinesi la galleria Continua, la Urs Meile, la Boers-Li, la Hadrien den Montferrand ed altre ancora. Queste in Cina sono leader nell’organizzazione delle maggiori mostre di Pechino, ma è anche vero che la loro selezione è parziale e, sembrerebbe, orientata più verso un gusto occidentale che nazionale.
Considerato tutto ciò, bisognerebbe chiedersi se quest’arte contemporanea cinese non sia un gruppo autorefernziale che include al suo interno solamente un selezionato numero di referenti cinesi e che, come tale, possa aggradare il nostro senso estetico senza però consentire l’espressione della vera arte cinese.
Il valore di essere una piattaforma internazionale per una fiera dell’arte è indubbio, ma, essendo pienamente in mano agli stranieri, la Fiera rispecchiarà davvero la realtà asiatica?
* Sara Bortoletto, laureata a Ca’ Foscari in Lingue orientali nel 2009, vive a Pechino in stretto contatto con l’arte contemporanea cinese da 4 anni.
Dopo aver collaborato con offiCina, galleria all’interno del distretto 798, nel 2011 ottiene una borsa di studio MIUR che le permette di studiare la figura di Wu Guanzhong tra il centro di ricerca di Gao Minglu (critico di massimo rilievo) e l’accademia di belle arti di Pechino. La sua ricerca si sta ora indirizzando verso l’arte cinese di meta’ novecento, senza per questo tralasciare il discorso sull’arte contemporanea. Da settembre 2011 a Febbraio 2012 ha gestito le relazioni internazionali di White Box Musueum of Art di Pechino agevolando concretamente il dialogo tra Cina ed occidente.