La crescita cinese continua a essere a rischio, ma si stanno ponendo le basi su cui potranno posarsi sviluppi nel lungo termine. Zhang Zhiming, a capo del China Research di Hsbc, analizza le prospettive della Repubblica popolare nei prossimi anni. E fugge dall’idea dell’atterraggio brusco per l’economia del Dragone. Le turbolenze sui listini cinesi si sono placate. Gli indici stanno riguadagnando terreno e le montagne russe estive sembrano per il momento essersi fermate. Il rimbalzo, sostenuto dagli interventi del governo e degli enti di vigilanza, «non è tuttavia ancora sostenuto dai fondamentali», spiega Zhang Zhiming, co-head del China Research di Hsbc. «L’azionario si è ripreso perché c’è liquidità. Ciò che serve è però la stabilità che ancora manca».
Quanto vale per l’andamento delle borse di Shanghai e Shenzhen sembra essere una costante per tutta l’economia del Dragone in questo momento storico. L’analista di Hsbc rifugge dalle teorie della brusca frenata per l’economia cinese. La sua visione può essere riassunta nell’aforisma «un viaggio di mille miglia inizia da un singolo passo», ripreso da Laozi e dalla tradizione taoista.
«La crescita continua a essere a rischio», precisa, ma si stanno ponendo le basi su cui potranno posarsi sviluppi nel lungo termine. Nell’ultimo rapporto pubblicato qualche settimana fa intitolato Globalising China, l’istituto elencava cinque fattori da tenere in considerazione per capire i cambiamenti dell’impatto della Cina sullo scenario globale.
Il primo è il peso della Repubblica Popolare sul commercio mondiale, cresciuto negli ultimi vent’anni dal 3 all’11 per cento, ma ancora al di sotto del contributo cinese al prodotto interno globale, pari al 16 per cento. Il secondo fattore è la crescita degli investimenti diretti verso l’estero, che per la prima volta hanno superato quelli in entrata. Tuttavia i ricavi dell’estero per le quotate cinesi sono ancora pari ad appena il 13 per cento, ben sotto i numeri sul 50 per cento che si registrano in Europa, ma con percentuali raddoppiate nel giro di pochi anni.
Da tenere d’occhio sarà inoltre lo sviluppo della nuova Via della Seta. I progetti transfrontalieri di questo «significativo catalizzatore di infrastrutture» dovrebbero raggiungere i 900 miliardi di dollari. Come sottolinea Zhang Zhiming, l’iniziativa One road, one belt – la costruzione di una rete di collegamenti terrestri e marittimi tra l’Asia orientale e l’Europa – «garantirà crescita nel medio termine, sfruttando i finanziamenti extra per le infrastrutture». Affinché questo aspetto positivo si protragga anche nel lungo periodo «occorrerà l’intervento dei privati», precisa. «Bisognerà pertanto pesare il loro grado di partecipazione», ha aggiunto l’analista.
Gli ultimi due elementi da tenere in considerazione sono il crescente ruolo estero delle policy bank di Pechino, che va di pari passo con la globalizzazione della banche commerciali, e il processo di internazionalizzazione dello yuan che procede più spedito rispetto alle attese. Al riguardo forse già a novembre il Fondo monetario internazionale potrebbe dare l’ok all’inclusione della divisa cinese tra i diritti speciali di prelievo che compongono il paniere di valute dell’organizzazione multilaterale. Si tratta di un passo importante ma che secondo l’economista di Hsbc «non avrà un impatto materiale immediato». Ciò che occorre alla Cina sul fronte finanziario è infatti il miglioramento del proprio sistema bancario e del mercato dei capitali interno.
Nelle linee guida per la stesura del nuovo piano quinquennale approvate nel corso del Plenum del Comitato centrale del Partito Comunista a fine ottobre c’è un’ulteriore apertura in tal senso. «Sarà un percorso difficile. Le misure sulle banche vanno nella giusta direzione. Tuttavia la completa liberalizzazione resta una sfida».
In questo processo di riforma del sistema del credito giocano un ruolo i nuovi attori provenienti dal mondo di internet come Alibaba e Tencent, che si presentano come concorrenti la cui pressione, «spingerà le banche a modernizzarsi, sebbene non le rimpiazzerà completamente». Nella stessa direzione va anche la riforma delle grande aziende di Stato messa in cantiere dal governo, che prevede anche in questo caso l’ingresso di capitali privati e un processo di riorganizzazione. Interventi, precisa Zhang Zhiming, che avranno effetti «nel lungo termine sull’efficienza dei colossi di Stato».
[Scritto per MF-Milano Finanza]