Durante il viaggio inaugurale del suo decennio, Xi Jinping ha visitato la guarnigione militare del Guangdong, ricordando ai militari la necessità di migliorare le loro capacità di combattimento. I media ufficiali si concentrano sulla nuova potenza di fuoco della Rpc. Ma su internet, tra i netizen cinesi impazza l’ironia. Durante il suo viaggio a sud, un Xi abbigliato come Mao Zedong ha visitato la guarnigione militare del Guangdong, pranzato in mensa con i soldati, assistito ad alcune manovre (infilandosi in un carrarmato), fatto un discorso agli alti graduati e infine posato con loro in una foto estremamente marziale (ricorda analoghi scatti made in Pyongyang). Ce lo illustra con dovizia di particolari il servizio di Cctv , la televisione di Stato, che ha aperto i notiziari di mercoledì.
Sullo stesso argomento apre anche il Quotidiano del Popolo [vedi foto], mentre il South China Morning Post osserva che i media cinesi parlano di visita al “teatro di operazioni di Guangzhou”, termine utilizzato generalmente in tempo di guerra. Lo stesso quotidiano di Hong Kong sottolinea che Xi ha esortato i militari a migliorare le proprie capacità di “combattimento effettivo”, sottolineato che tali capacità riguardano soprattutto l’informatizzazione della guerra (l’evoluzione tecnologica) e che devono rendere l’Esercito popolare di liberazione pronto per eventuali conflitti regionali. Il nuovo leader ha ricordato infine che l’esercito deve essere sempre subordinato alle decisioni del Partito.
Ce n’è a sufficienza per terrorizzare gli Stati limitrofi e dare agli Usa il pretesto per mandare a spasso qualche portaerei nei vari “mar cinesi” (non dimentichiamoci anche il razzo appena lanciato dalla Corea del Nord), ma l’Agenzia Nuova Cina si affretta a gettare acqua su fuoco, con un editoriale nel quale sostiene che l’ipotesi di una Cina alla ricerca di “una posizione dominante” non è fondata. Secondo Xinhua, lo stesso XVIII Congresso Nazionale del Partito Comunista Cinese del mese scorso ha “sottolineato la coesistenza pacifica e la cooperazione per ottenere risultati win-win [da cui tutti traggano beneficio, ndr], visto che il Paese sa bene che [i destini delle] nazioni sono molto intrecciati”.
Nonostante le recenti dispute territoriali – ricorda l’editoriale – la Cina ha beneficiato per trent’anni di una crescita pacifica e non intende cambiare ricetta proprio ora. I rapporti commerciali con i Paesi limitrofi si sono intensificati ed è a quello che bisogna guardare, non a contese come quella con il Giappone per le isole Diaoyu/Senkaku, “parte integrante del territorio cinese fin dai tempi antichi, che si è accesa solo dopo che i giapponesi hanno organizzato una serie di provocazioni” (il sindaco di Tokyo ha di recente tentato di acquistare le isole reclamate sia dal suo Paese sia da Pechino).
Quanto a Washington, Xinhua cita l’esperto di relazioni internazionali Qu Xing per affermare che “il mondo è grande abbastanza per ospitare sia la Cina e gli Stati Uniti con i loro differenti percorsi di sviluppo”: diversi (e la Cina rivendica la propria “diversità”) ma accomunati nel cercare soluzioni “win-win” e nell’appianare le divergenze.
Sul riarmo cinese, un altro ricercatore, Ding Yifan, afferma che esprime la necessità di porre rimedio a errori e ritardi del passato più che volontà di potenza (va ricordato comunque che il budget militare di Pechino, anche se in continua crescita e tutt’altro che trasparente, resta di gran lunga inferiore a quello Usa). Strategia difensiva, insomma: solo se si sente sicura, la Cina può continuare nel suo pacifico sviluppo, di cui tutti beneficeranno, Paesi limitrofi in primis.
Per diversi osservatori, la sterzata militaresca di Xi andrebbe spiegata in chiave interna. Da un lato, il nuovo leader vorrebbe rafforzare la propria presa sull’esercito. In Cina, il potere effettivo discende dall’accumulo delle cariche più che dalla posizione occupata nella gerarchia. Secondo accreditate interpretazioni storiografiche, nel 1989, un Deng Xiaoping ormai in fase di pensionamento riuscì a ordinare la repressione del movimento di piazza Tiananmen proprio perché, dopo aver lasciato le cariche politiche, aveva conservato nelle proprie mani il ruolo di capo della commissione militare centrale, il terzo pilastro del potere cinese, con il Partito e lo Stato.
Dall’altro lato, Xi farebbe leva sul nazionalismo per assestare un colpo da Ko alla dilagante corruzione. Un messaggio molto semplice: chi ruba, chi si arricchisce a spese degli altri, non è un buon cinese, tradisce la patria. Solo etichettando il malaffare come vergogna nazionale, ritengono molti analisti, il sogno di un “grande rinascimento della nazione cinese” (la nuova parola d’ordine che probabilmente sostituirà la “società armoniosa” dell’accoppiata Hu Jintao-Wen Jiabao), potrà realizzarsi.
Di recente, la Jamestown Foundation ha inquadrato il settetto che governa la nuova Cina in due categorie: romantici marxisti e nazionalisti leninisti . Xi, secondo l’autorevole think-tank Usa, farebbe senz’altro parte del secondo gruppo. Che, detto per inciso, è maggioritario.
Intanto in Rete impazza un nuovo fenomeno, dopo che il mese scorso la Tv di Stato ha dato notorietà ai gesti codificati degli avieri che guidavano il decollo dei jet dal ponte della prima portaerei cinese: la Liaoning. Un nuovo video alla Gangnam Style, subito diventato virale, immortala singoli burloni che ripetono i movimenti dei militari.
In attesa che scolaresche in gita, camerieri schierati prima del turno di lavoro e signore alle prese con il ballo figurato nei parchi si cimentino collettivamente: nazionalismo pop per un “grande rinascimento” del Dragone. O humor. Uno non esclude l’altro.
[Scritto per Lettera43; foto credits: news.cn]