Go West! Il nuovo trend di sviluppo e mercato

In by Simone

Le aziende europee al mercato cinese ci credono sempre di meno, eppure non sono disposte ad abbandonare il campo. E paradossalmente seguono lo slogan governativo: go west. Ovvero portare benessere, industrie e urbanizzazione nelle ancora poco sviluppate regioni occidentali. E’ quanto esce dal Business Confidence Survey 2013 presentato dalla Camera di commercio europea a Pechino.
Le aziende europee al mercato cinese ci credono sempre di meno, eppure non sono disposte ad abbandonare il campo. Non sono convinte che la nuova leadership abbia il coraggio delle tanto necessarie riforme eppure puntano sull’aumento della classe media. Nel 2013 gli incassi sono diminuiti del 10 per cento a causa della crisi economica. Ma il problema che ritengono più pressante è l’aumentare del costo del lavoro. Eppure non mollano l’osso e continuano a espandersi nel mercato dell’ex impero di mezzo. E paradossalmente seguono lo slogan governativo: go west. Ovvero portare benessere, industrie e urbanizzazione nelle ancora poco sviluppate regioni occidentali. E’ quanto esce dal Business Confidence Survey 2013 presentato dalla Camera di commercio europea a Pechino.

526 le imprese intervistate, tutte diverse per grandezza e campo d’azione. L’unico punto in comune è che oltre l’80 per cento lavorano sul territorio cinese da più di cinque anni. Ovvero dal 2008, l’anno della cesura olimpica. Rispetto agli anni passati sono sempre di più quelle aziende che lamentano perdite superiori al 20 per cento del fatturato. E sono soprattutto aziende di piccola e media dimensione e che stanno da poco in Cina. Le grandi aziende, le multinazionali che lavorano anche su altre realtà, non sembrano risentirne troppo: un terzo vede la performance cinese migliore di quella che in media detengono su altre realtà, per un terzo grossomodo è uguale, mentre un terzo denuncia incassi minori. E sono sempre meno ottimiste. Solo il 30 per cento si dichiara ottimista sulla crescita dei propri giri di affari nei prossimi due anni, contro il 47 registrato nel 2008. La percentuale scende ancora di più per quelle aziende che sono legate al governo cinese.

Come ha fatto notare Davide Cucino, presidente della Camera di commercio europea a Pechino, «è interessante osservare come la metà delle nostre aziende non sono sicure che le riforme economiche, necessarie e tanto a lungo evocate, si faranno». E questo nonostante la retorica e la propaganda del governo cinese. Sempre secondo il presidente della Camera di commercio «bisogna mettere in pratica rapidamente cambiamenti significativi in modo da mitigare l’aumento dei costi attraverso l’incremento della produttività e lo sblocco delle opportunità di mercato». Ma soprattutto si chiede a gran voce una «competizione equa». Perché, gli fa eco il presidente della Roland Berger Strategy Consultants Asia a cui è stata affidata la ricerca, a rischio è il mercato cinese. Un dato preoccupante. Soprattutto se tradotto in numeri. Si stima che l’ammontare delle perdite delle aziende europee imputabili alle barriere di accesso del mercato cinese siano di 17,5 miliardi di euro.

Il punto evidenziato da Cucino, inoltre, è che gli stipendi stanno crescendo più del pil, e questa è una problematica seria che va affrontata aumentando la competitività, diminuendo i monopoli e puntando sulla crescita dei consumi interni. In pratica tutto quello che ci si aspetta dalle riforme economiche promesse dalla nuova classe dirigente cinese. Promesse però di cui nessuno si fida. Ed è questo il punto che viene più sottolineato dai giornalisti cinesi durante la conferenza stampa. Sono in molti a chiedersi perché, se il mercato cinese è pessimo come lo si descrive, oltre l’85 per cento delle aziende intervistate considera la possibilità di rimanere in Cina o addirittura di espandersi in questo paese. Ed è impressionante osservare la cartina della Cina su cui sono evidenziate la zone scelte per ampliare gli affari delle aziende esistenti. Ai primi posti ci sono la regione del Sichuan e la megalopoli di Chongqing. Le arie più interessate dalla nuova scommessa cinese: urbanizzare le arie rurali e riportarci quei lavoratori migranti che i dati ci dicono non essere già più il terzo stato ma una nuova classe di consumatori. Quella su cui punta la Nuovissima Cina e quella che aspettano, senza scommetterci troppo, le nostre aziende.

[Scritto per Linkiesta; foto Cecilia Attanasio Ghezzi]