Il tema del lavoro, visti anche i recenti scioperi di cui si sono occupati media cinesi e mondiali, è uno degli aspetti più caldi e interessanti offerti dalla Cina contemporanea. Insieme all’informazione su scioperi e lavoratori, raramente si hanno notizie più precise, di prima mano, sull’evoluzione, i numeri e le ragioni delle proteste, così come spesso alcuni argomenti, come ad esempio la vita del sindacato cinese viene catalogato all’interno delle “anomalie” del sistema, senza un’analisi che ne approfondisca gli elementi salienti.
Per questo pubblichiamo di seguito un report prodotto dal China Labour Bulletin riguardo la storia e problematiche del sindacato in Cina, l’Acftu, negli ultimi vent’anni. E’ un primo report di altri del CLB che verranno pubblicati su China-Files.
CLB è una ong con base a HK, che da tempo, dal 1994, si occupa del tema lavoro in Cina, producendo periodicamente dei rapporti su tutto quanto è attinente al mondo del lavoro in Cina. Riteniamo che il documento segni il passo in termini di analisi e riferimenti, attraversando la vita del sindacato cinese dalla visuale dei lavoratori e delle loro aspettative.
E’ un visione parziale dell’argomento che crediamo copra una lacuna informativa e (nelle sue proposte conclusive su come migliorare l’azione dell’ACtfu) speriamo che più di ogni altra cosa possa aiutare a sviluppare un dibattito sul tema. Di seguito la prima parte del report, buona lettura.
Proteggere gli Operai o Servire il Partito: Il futuro dei sindacati cinesi
Dall’inizio degli anni ’90, la crescita economica cinese ha fatto leva soprattutto sullo sfruttamento di una manodopera a basso costo. Il costante parallelo incremento di instabilità sociali e proteste, però, ha costretto il governo a concentrare la sua attenzione non solo sugli sviluppi economici ma sempre di più a tenere conto dell’insoddisfazione degli operai. Se da un lato le nuove regolamentazioni sul lavoro promulgate nel 2008 (Legge sui contratti del lavoro; Legge sulla promozione dell’impiego; Legge sull’arbitrio) mostrano la volontà del governo di volere promuovere la difesa dei diritti degli operai, dall’altro non è emerso un movimento sindacale indipendente, ma anzi, al contrario, si è visto gli operai agire sempre di più autonomamente.
La ricerca delle ragioni dell’incapacità dell’unico sindacato legalmente riconosciuto in Cina (la Federazione dei Sindacati di Tutta la Cina o ACFTU) di rappresentare i lavoratori nel corso di questi ultimi 20 anni è dunque tema del presente rapporto di China Labour Bulletin (CLB). Nel primo capitolo, l’analisi dei conflitti aziendali e delle proteste operaie avvenute nelle ultime due decadi illustra come il governo cinese guardi a questi come minaccia sociale piuttosto che come genuina caratteristica di un’economia di mercato.
Il secondo capitolo ripercorre i documenti chiave del Partito, del governo e del Sindacato Unito che hanno reso quest’ultimo incapace di rispondere ai bisogni degli operai in quanto strumento politico di controllo dell’ordine sociale nelle mani del Partito Comunista Cinese (PCC). Le discrepanze tra il ruolo dell’ACFTU e i bisogni concreti degli operai in Cina sono infine riassunte nell’ultimo capitolo, a cui seguono le proposte di CLB affinchè il Sindacato Cinese possa riguadagnare la fiducia degli opeai.
“Classificazione e controllo” dei conflitti sociali
Il continuo aumento del numero di scioperi e di “incidenti di massa” negli ultimi 20 anni ha contribuito ad erodere la legittimità politica del governo cinese, che ha dunque cercato di prevenire questi al fine di assicurare il mantenimento sia di una “società armoniosa” sia della propria autorità. A partire dal 2005 dati ufficiali riguardo a tali “incidenti” non vengono più pubblicati.
Ai conflitti sociali, definiti come “contraddizioni interni alla popolazione”, il governo ha risposto con misure ed interventi ad hoc caratteristici del suo tradizionale approccio volto a “controllare, governare e organizzazare” qualsiasi tipo di conflitto. Spesso però questi hanno paradossalmente contribuito ad aggravare i problemi. Infine, poichè gli operai non sono rappresentati da sindacati genuini interni alle imprese, un sistema di contrattazione collettiva efficiente è ancora assente in Cina e l’ACFTU agisce attivamente solo a violazione di diritti già avvenuta, i lavoratori sono costretti ad appellarsi al governo.
La preoccupazione delle autorità non risulta però essere la risoluzione dei conflitti sul lavoro, poichè la loro natura economica viene incompresa e politicizzata; essi non sono infatti considerati come dispute tra lavoratori e amministrazione aziendale bensì come minaccia alla stabilità sociale. Non stupisce dunque che Pechino consideri l’ACFTU e le altre organizzazioni sociali come strumenti di supervisione dei cittadini.
Ai sindacati viene infatti non solo riconosciuta la capacità di mobilizzare la massa, bensì anche quella di fornire servizi economici e sociali (quali ad esempio statistiche, analisi, corsi di formazione, aiuti finanziari agli operai…) che dovrebbero in realtà essere erogati dalle autorità governative. La legittimità e il permesso dell’ACFTU di partecipare alla “governance” sociale dipende esclusivamente dalla sua capacità di aiutare il PCC nella realizzazione dei suoi obiettivi politici.
La politicizzazione dell’ACFTU
Dato che la misura in cui le attività dell’ACFTU sono state politicizzate è variata nel corso degli ultimi 20 anni, l’analisi dei documenti chiave pubblicati da governo e Sindacato Cinese in questo periodo aiuta a capirne gli sviluppi.
Riforma e limitazioni dell’ACFTU: 1988-1992
Visto il focus dell’amministrazione Deng Xiaoping essere stato posto sulla riforma economica, la crescita e la modernizzazione del Paese, nel 1988 vennero approvati i “concetti basilari per la riforma dell’ACFTU”. Secondo la Commissione Esecutiva dell’ACFTU, questa dovrebbe essere un’organizzazione di massa indipendente dal Partito, con il quale condividere soltanto alcuni obiettivi e lavorare alla redazione di quelle politiche governative che direttamente interessano gli operai. Soprattutto il processo di ristrutturazione delle “aziende di proprietà statale” (SOE) si mostrò essere per il Sindacato Cinese un’occasione per affermare il proprio ruolo a difesa dei diritti degli operai e la necessità di sostituire il tradizionale sistema decisionale “top-down” con uno “bottom-up” poggiandosi sulla presenza ancora massiccia di sindacati a livello delle imprese statali.
La soppressione del movimento democratico nel 1989 ha tuttavia impedito la concretizzazione di tali riforme; da quel momento in poi, la priorità del governo sarà data alla stabilità sociale ed economica. L’ACFTU acquisì in questo modo non solo la responsabilità di assicurare l’ordine sociale, ma anche il compito di persuadere gli operai a subordinare gli interessi personali ed immediati a quelli a lungo termine della nazione.
Gli operai divennero perciò sempre più vulnerabili ad abusi e sfruttamenti.
Subordinazione dei diritti operai alle necessità del Partito: 1992-2003
L’intensificazione delle riforme economiche e il consolidamento dell’ “economia di mercato socialista”, promosse nel 1992 da Deng Xiaoping nel suo “tour del Sud” a Guangzhou, Zhuhai e Shenzhen, ridiedero all’ACFTU una nuova opportunità per schierarsi dalla parte degli operai.
Alcune decisioni dell’ACFTU mostrano la volontà di accellerare il processo di sindacalizzazione e promuovere l’istituzione di meccanismi di consultazione e negoziazione delle dispute sul lavoro anche nelle imprese private. La ristrutturazione delle imprese statali ancora in atto e le difficoltà incontrate nell’organizzare i sindacati interni alle imprese costrinsero tuttavia l’ACFTU a conformarsi nuovamente alle priorità governative, ritrovandosi a dover fornire nuovi posti di lavoro ai 30 milioni di operai resi disoccupati e a dover agire con “rimedi a posteriori” piuttosto che “proteggere preventivamente” gli interessi operai. Alla fine degli anni 90, nonostante l’ACFTU continui ad enfatizzare la necessità di riformarsi, essa si era in realtà già conformata alla politica del Partito.
Gli obiettivi di sostenere la ristrutturazione delle aziende statali e assicurare la stabilità sociale resero l’ACFTU un’organizzazione caritatevole più che un sindacato.
ACFTU in linea con la politica del Partito: 2003-oggi
Nel 2003 il PCC era messo a confronto da un lato con le proteste e le richieste di rimborso degli operai diventati disoccupati in seguito alla ristrutturazione delle industrie statali, dall’altro con l’emergere di gruppi di interesse (es. Associazioni di lavoratori, gruppi di villaggio, club di impiegati) rappresentanti i sempre più numerosi lavoratori immigrati dalle zone rurali.
Temendo questi sviluppi, il Partito cercò di incrementare il suo potere e la sua legittimità promuovendo attraverso varie regolamentazioni la costruzione di un “socialismo” e di una “società armoniosa” fondati sulla “partecipazione del popolo”. “Armoniose relazioni sul posto di lavoro” devono essere raggiunte all’interno di una cornice sociale armoniosa e soddisfare non tanto le aspirazioni degli operai quanto invece gli obiettivi del Partito.
L’atto finale di politicizzazione dell’ACFTU venne avviato nel 2006, quando essa stessa definì il proprio “concetto di salvaguardia dei diritti operai” come “proattivo, legale e scientifico”. In realtà, i sindacati interni alle imprese non sono nè equipaggiati adeguatamente per difendere in maniera attiva i diritti dei lavoratori, nè disposti a sostenere proteste e scioperi, considerati come illegali.
Questo atteggiamento risponde più alle richieste generali del Partito di proteggere solo quei diritti politicamente motivati, che mirano allo “sviluppo di relazioni di lavoro armoniose” e ad una difesa “pacifica” degli operai. In una società non pluralistica come quella cinese, tale approccio non è tuttavia adatto, bensì contribuisce alla perpetuazione dello sfruttamento degli operai, che devono “sacrificarsi”, ad esempio, per permettere alle aziende di sopravvivere nei periodi di crisi economica. “Protezione legale dei diritti” significa dunque prevenire l’insorgere di petizioni e proteste colletive sfruttando il fatto che il diritto allo sciopero in Cina, dopo essere stato abolito nel 1982 dalla costituzione cinese, non è a tutt’oggi nè legale nè illegale.
Gli operai, non difesi collettivamente, sono dunque costretti ad agire autonomamente adottando misure, che sono in ogni caso considerate “illecite”.
[Segue qui: la seconda parte del report]
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[Foto da http://www.tipb.com]