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Gli Hakka ieri e oggi: il tempio ancestrale dei Li di Shanghang

In Cina, Cultura by Redazione

I templi ancestrali, noti anche come Zutang 祖堂 o Zongci 宗祠 sono elementi fondanti della cultura degli Hakka, un ramo del gruppo etnico primario degli Han. Oggi si dice che siano cento milioni gli Hakka nel mondo, distribuiti in ogni paese del pianeta. Uno di questi templi, il più esteso nella Cina continentale, è il tempio dei Li, di Shanghang, una contea nel Nord-Ovest del Fujian. Le piogge torrenziali del 15 e 16 giugno, cadute ininterrotte per oltre 12 ore, hanno imbevuto la base delle mura esterne del tempio per un’altezza di 150 cm, causandone il crollo

I templi ancestrali, noti anche come Zutang 祖堂 o Zongci 宗祠 sono elementi fondanti della cultura degli Hakka, un ramo del gruppo etnico primario degli Han. Oggi si dice che siano cento milioni gli Hakka nel mondo, distribuiti in ogni paese del pianeta, dove spesso si riconoscono solo per la forma di cucina che offrono nei ristoranti, e che si differenzia da quella offerta abitualmente dalla ristorazione cinese, ad esempio, in Italia. A Taiwan gli Hakka sono la seconda etnia. La lingua Hakka è un ramo della lingua ufficiale Han, ed è considerata “fossile”, per la sua natura conservativa che la rende molto vicina alla lingua parlata nella Cina centrale nel settimo secolo.

Le province meridionali del Fujian e del Guangdong sono le aree di insediamento, oltre a Taiwan e Hong Kong, di questa popolazione di migranti interni, che nell’ultimo secolo ha partecipato in maniera importante alla diaspora internazionale, ed è presente oggi in tutti i continenti. In molte parti della Cina rurale, i templi ancestrali sono edifici che contraddistinguono i luoghi di provenienza di coloro che hanno lasciato i villaggi rurali per cercare fortuna nelle zone più prospere della Cina o all’estero. Nelle zone Hakka, però, i templi presentano delle caratteristiche che li differenziano da quelli Han, sia dal punto di vista architettonico che delle pratiche cultuali, e soprattutto per il ruolo che ancora oggi queste strutture mantengono per coloro che si sono “dispersi” all’estero, soprattutto nel Sud-Est asiatico, ma anche in Europa, America, Africa. Come luoghi di culto dedicati alla commemorazione e venerazione degli antenati, essi costituiscono fonti importanti per l’analisi della struttura sociale e la storia locale, luoghi di memoria incorporata per tutti coloro che partecipano e costruiscono la cultura del tempo presente.

I templi ancestrali Hakka, a differenza di quelli non-Hakka, sono a volte dedicati anche alla venerazione di donne, antenate del lignaggio (Ardizzoni 2022). Pur rimanendo una società segnatamente patriarcale, infatti, nella società Hakka le donne giocavano – e giocano – un ruolo fondamentale nei villaggi e nelle strutture famigliari diasporiche. Dal punto di vista architettonico, come spiega il prof. Zhang Wenfeng 张文锋, «L’architettura dei templi ancestrali Hakka è generalmente divisa in tre tipi: con una, due o tre sale, essendo il tipo a due sale il più comune. La sala anteriore funge da vestibolo, con una facciata tipicamente strutturata in sezioni, dotata di tre porte o una unica grande porta. L’area centrale del tempio, chiamata sala principale o sala degli antenati, è il luogo principale in cui vengono posizionate le tavolette ancestrali, e in alcuni templi possono essere esposti ritratti degli antenati davanti alle tavolette o sui lati della sala principale». (Zhang 2018).  Oltre alla venerazione degli antenati fondatori del villaggio, e quindi del lignaggio, questi edifici dalle dimensioni molto variabili svolgono anche la funzione di luoghi di riunione in cui i membri della famiglia discutono questioni familiari importanti e in cui si tengono cerimonie periodiche dall’alto valore simbolico. Per il loro valore identitario, i Zongci sono destinatari di molti dei ricavi delle fatiche dei migranti.

Uno di questi templi, il più esteso nella Cina continentale, è il tempio dei Li, di Shanghang, una contea nel Nord-Ovest del Fujian, appartenente alla municipalità di Longyan, a circa 200 kilomentri dalla metropoli di Xiamen. Questa zona rurale, oltre ad essere un’importante area di produzione alimentare (riso, grano, sorgo, tè, ma anche tabacco e altro), è un museo a cielo aperto degli Hakka. Numerose strutture architettoniche e paesaggi naturali di quest’area sono inseriti nella lista UNESCO, molti sono etichettati dalle istituzioni cinesi come beni culturali nazionali, o locali. L’intera zona lo scorso giugno è stata colpita da violente alluvioni, fino a quasi 300 mm di acqua in 24 ore, che hanno portato ingenti danni alla popolazione e alle coltivazioni, e non hanno risparmiato i beni culturali. La pianta del tempio di Huodegong, come viene famigliarmente chiamato dai locali, con un’estensione di oltre 5600 km quadrati, composto da 3 sale votive nell’asse centrale Nord-Sud, 26 sale di ricevimento e 104 abitazioni, va a formare la parola hui 回 tornare”, un ideale per coloro che negli anni passato hanno lasciato il villaggio, molti dei quali non sono mai tornati.

Le piogge torrenziali del 15 e 16 giugno, cadute ininterrotte per oltre 12 ore, hanno imbevuto la base delle mura esterne del tempio per un’altezza di 150 cm, causandone il crollo. La struttura esterna, come in un drammatico gioco di tessere del domino, si è portata dietro la struttura interna, ma ha lasciato intatte le tre sale votive. Le autorità locali non hanno esitato ad allocare risorse per la ristrutturazione. Gli stessi abitanti non hanno dubbi: il tempio va ricostruito subito. L’amministrazione locale, il 18 giugno, tramite assicurazioni per calamità naturali, ha già destinato alla ricostruzione 30 milioni di RMB, quasi 400.000 euro. Nel caso in cui si dovessero rendere necessari ulteriori fondi, sicuramente la diaspora interna e globale non mancherà di contribuire alla rivitalizzazione di un simbolo così importante per la cultura Hakka, dimostrando così, ancora una volta, tutta la coesione e solidarietà di un popolo che mantiene viva la memoria collettiva e, pur nella lontananza, non recide i legami con la terra natia.

Di Sabrina Ardizzoni