Giappone, la fame di anguilla alimenta traffici illegali

In by Gabriele Battaglia

L’anguilla è uno dei cibi preferiti dai giapponesi. Ma le riserve di questo pesce si stanno esaurendo a livello globale. Colpa dei cambiamenti climatici e della pesca incontrollata. E il sistema attuale di restrizioni attualmente imposte dall’Europa non ferma il mercato nero. L’estate anche in Giappone è ormai finita, ma chiunque abbia qualche familiarità con il paese sa che per combattere l’afa nella stagione calda, non c’è niente di meglio che una buona razione di unagi, anguilla.

Serve, si dice, a combattere l’affaticamento causato dal caldo umido e persistente dell’arcipelago, il cosiddetto natsubate con il suo apporto di grassi e proteine. In Giappone, dove i piatti di carne sono entrati in maniera stabile nella cucina locale solo con la modernizzazione alla fine del 19esimo secolo, l’anguilla è sempre stata tra le fonti di questi nutrienti preferite dai giapponesi.

In Giappone si consuma il 70 per cento della carne d’anguilla del mondo. Con la Japonica, la pregiata varietà locale ormai in via di estinzione, l’anguilla che arriva sulle tavole dei giapponesi è in gran parte di importazione, legale e illegale, da Sudest asiatico, America ed Europa. 

Come rivela un lungo post pubblicato dal Guardian, il mercato nero è in piena espansione. Si alimenta di esemplari pescati — anche in Europa — ancora in fase neonatale e che poi vengono trasferite illegalmente verso Cina e Hong Kong finendo anche in Giappone. E i profitti sono altissimi: un esemplare neonato di anguilla (quindi ancora non completamente sviluppato) può costare qualche centinaio di yen (tra l’1 e i 2 euro) ed essere rivenduto in un ristorante di lusso a partire da 5mila yen (circa 45 euro).

A marzo di quest’anno, le autorità di Hong Kong hanno effettuato alcuni arresti per contrabbando di centinaia di chili di anguille europee. Così nel vecchio continente il tema è tornato al centro del dibattito. 

Domenica scorsa in Sudafrica, si è tenuto un vertice dei paesi firmatari della Convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione (Cites). Stando a quanto riferisce il quotidiano economico Nikkei, i negoziatori sono accordati per raccogliere dati e catalogare le specie di anguilla attualmente a rischio. Ma il Giappone teme ripercussioni concrete sulle proprie scorte di pesce. Alla prossima riunione, nel 2019 Stati Uniti e Unione europea decideranno probabilmente di imporre ulteriori restrizioni alla pesca e all’export e questo si ripercuoterebbe sul mercato giapponese che si ritroverebbe senza il 70-75 per cento della materia prima.

Nel 2010 Bruxelles aveva imposto un divieto sull’export di anguille al di fuori dell’Eurozona dopo che alcuni studi avevano rivelato che, complici cambiamenti climatici la crescita della domanda globale di questo pesce, l’anguilla europea (nome scientifico: Anguilla anguilla) si era ridotta oggi del 90-95 per cento rispetto a 45 anni fa.

Per l’ingente consumo di questo pesce, il Giappone, firmatario del Cites con riserva, è un osservato speciale: il paese del Sol Levante è accusato di non fare abbastanza per preservare la specie e combattere il commercio di frodo. Di recente, Tokyo ha avviato un dialogo con Taiwan, Corea del Sud e Cina per stabilire un accordo regionale di cooperazione sulla pesca delle anguille, ma, secondo l’agenzia per l’industria ittica giapponese, le trattative sarebbero in stallo per l’opposizione della Cina a ogni misura restrittiva sulla pesca.

Ma il problema vero è la catena di distribuzione del pesce nel paese arcipelago. Questa è infatti costruita su un’intricata rete di intermediari che impedisce alle autorità di Tokyo di verificare la sicurezza del pescato e di intercettare eventuali partite illegali. Per rompere questo circolo vizioso oggi serve uno sforzo in più.

[Scritto per Eastonline]