Giappone – Cucina tradizionale diventa patrimonio Unesco

In by Simone

La cucina tradizionale giapponese (washoku) è diventata patrimonio immateriale dell’Unesco. Un premio che va a tutelare l’arte culinaria locale nella speranza di un rilancio tra le nuove generazioni – che mangiano sempre più occidentale – e di una spinta per il mercato ortofrutticolo in crisi post Fukushima.
Quando si tratta di tradizioni gastronomiche, noi italiani, mediamente, ci sentiamo imbattibili, se non fosse per quel lieve e fastidioso senso di inferiorità verso i francesi. Ma la nostra cucina, ancorché rispettata e decisamente di tendenza negli ultimi decenni, non è l’unica a ottenere riconoscimenti.

Qualche mese fa, quasi alla fine del 2013, l’Unesco, attraverso il Comitato ad hoc, ha inserito il washoku nella lista dei patrimoni immateriali (Per la Francia e per l’Italia il riconoscimento era arrivato nel 2010, con l’inclusione, rispettivamente, dell’arte culinaria francese e della dieta mediterranea).

Wa significa ‘giapponese’ e shoku ‘cibo’, ha il suo punto di forza nella freschezza delle materie prime e nella natura salutare delle preparazioni. Non si tratta di ricette sofisticate e irrealizzabili, ma dei piatti semplici che compongono l’alimentazione casalinga e che, tuttavia, secondo alcuni, rischiavano l’estinzione.

Chef ed esperti del settore gastronomico giapponese hanno infatti premuto affinché si arrivasse alla candidatura del washoku, nel timore che, con il passare del tempo, certe abitudini potessero scomparire del tutto se non debitamente protette.

Le giovani generazioni, infatti, privilegiano le cucine occidentali di alto livello o le catene di fast-food, il consumo annuale di riso è crollato del 17 per cento negli ultimi 15 anni, mentre la domanda di carne ha sopravanzato quella di pesce già dal 2006.

Ma c’è anche una motivazione più marcatamente commerciale: il tentativo di riaffermare la qualità dei prodotti dell’agricoltura e della pesca giapponese, la cui reputazione è stata gravemente compromessa dall’incidente di Fukushima.

Le esportazioni di prodotti sia di terra che di mare sono crollate nel 2011 e nel 2012 per tornare a migliorare nel 2013 (+22 per cento rispetto all’anno precedente). Secondo l’Agenzia giapponese per la Pesca i valori di contaminazione di pesci e acque sono ormai confortanti: se subito dopo la tragedia del 2011 il 53 per cento del pesce controllato mostrava livelli di radiazioni superiori alla soglia di sicurezza di 100 becquerel per chilogrammo, e nel 2012 i valori erano dimezzati, a fine 2013 solo il 2.2 per cento del campione risultava contaminato.

Ma gli scambi con Cina e Sud Corea, i maggiori partner commerciali del Giappone, non sono tornati ai valori pre-Fukushima a causa del persistere delle restrizioni per ragioni di sicurezza.

Il governo giapponese, dal canto suo, non fa altro che ripetere che gli alimenti provenienti dalla prefettura di Fukushima sono sani e affidabili. Mentre il premier Abe si è dato come obiettivo quello di raddoppiare le esportazioni alimentari per raggiungere ricavi pari a 1 trilione di Yen entro il 2020.

Appuntarsi l’onorificenza dell’Unesco – la ventiduesima per il Giappone – può dunque tornare utile. Come rileva il New York Times, il Giappone è ancora un paese “fissato” con il cibo, ma sempre più cuochi si rivolgono alle tradizioni occidentali, e il consumo di prodotti pronti da mangiare è in costante aumento.

Il riconoscimento dell’Unesco arriva nel momento giusto – a patto però che non si verifichi un’eterogenesi dei fini, banalizzando e commercializzando proprio quel patrimonio immateriale che si voleva esaltare e proteggere.

[Pubblicato su Pagina99; foto credit: jojoscope.com]

* Benedetta Fallucchi, dopo una parentesi di attività nel mondo editoriale, si è dedicata al giornalismo. Collabora con alcune testate italiane e lavora stabilmente presso la sede di corrispondenza romana dello Yomiuri Shimbun, il maggiore quotidiano giapponese (e del mondo: ben 14 milioni di copie giornaliere).