Giappone – Cronache di una generazione perduta

In by Gabriele Battaglia

Dio odia il Giappone è uscito a fine 2012 per Isbn, a più di dieci anni dalla prima edizione giapponese. Il canadese Douglas Coupland, autore di Generazione X e "visionario creativo", torna a parlare di crisi sociale, stavolta nel Giappone degli anni ’90. È qui, tra i ventenni di allora, che ritrova un’altra generazione perduta. Qualcuno ci ha creduto. Qualcuno, a poche ore dal triplo disastro del marzo 2011, ne ha fatto quasi uno slogan elettorale. Parafrasando le parole dell’ex governatore di Tokyo, Ishihara Shintaro, Dio ce l’aveva con il Giappone.

Nei primi giorni seguiti al Grande Terremoto, la morte di tremila persone era così diventata la giusta espiazione per l’eccessivo "egoismo" del popolo giapponese. Quell’evento, insomma, era addirittura diventato tembatsu, una punizione degli dei. Quando poi il numero delle vittime salì, l’ardito Ishihara fu costretto a chiedere scusa pubblicamente.

Eppure che qualche dio odiasse il Giappone, già si sapeva. Nel 2000, 11 anni prima dello spaventoso terremoto di due anni fa, Douglas Coupland, scrittore canadese classe ’61, aveva già paventato l’idea. Aveva infatti creato, con l’animatore Mike Howatson, canadese anche lui, un romanzo illustrato intitolato Kami wa Nihon wo nikunderu (Dio odia il Giappone). Nel 2001 il lavoro fu pubblicato esclusivamente in giapponese da una casa editrice di Tokyo e adattato in formato digitale per la tecnologia cellulare nipponica.

La storia è semplice. Hiro, narratore e protagonista del romanzo, è un ragazzo giapponese nato nel 1975, un prodotto del secondo baby boom dal dopoguerra. Hiro non ha nessuna qualità in particolare, solo una strana passione per le vetrine – contro cui adora buttarsi con tutta la forza che ha – e l’anime Star Blazers.

Fallisce gli esami finali di scuola superiore, cruciali per l’accesso alle università migliori, e per tutti gli anni ’90 si giostra continuamente tra lavoretti precari e delusioni amorose. Finché decide insieme al suo amico Tetsu di andarsene dall’altra parte dell’Oceano Pacifico, in Canada, per convincere Naomi, la sorella di Tetsu andata tempo prima a Vancouver a "studiare inglese", a ritornare a casa.

La "storia semplice" del narratore si intreccia con la Storia del Giappone di quegli anni. Hiro è il rappresentante di una generazione particolare, quella che per prima, dopo anni di crescita economica esponenziale, si è trovata ad affrontare una condizione lavorativa sconosciuta fino ad allora. Sono i primi anni del precariato, anche per i laureati dalle Università più prestigiose. Ne è un esempio il personaggio di Tetsu, studente fuori corso di economia alla blasonata Università di Tokyo, professione barista.

Non è un caso che sia Coupland a descrivere il disagio di un’intera generazione. Il tema gli è infatti caro sin dagli esordi: nel 1991 con il romanzo Generazione X, dedicato ai figli dell’America degli anni ’60, era riuscito a costruire un moderno Decameron collezionando storie che riflettessero lo spirito della propria generazione. La spinta all’opera nasceva dalla volontà di affrancarsi da "stupide etichette" e dalla stanchezza di "sentirsi descrivere da altri". Così facendo, però, Coupland finì inevitabilmente per crearne altre di etichette; una su tutte quella "X".

Da semplice segno grafico la X diventa simbolo, anche grazie a Coupland, di smarrimento, depressione, assenza di punti di riferimento. La stessa condizione dei ventenni americani a cavallo tra anni ‘80 e ‘90 la ritroviamo negli appartenenti alla dankai juniaa (questo il nome istituzionale della generazione dei nati nella prima metà degli anni ’70), che si ritrovano a vivere il passaggio all’età adulta durante il "decennio perduto" del Giappone. Ne nasce quindi una nuova generazione X, o, come scrive lo stesso Coupland, una "non-generazione".

La "non-generazione" descritta in Dio odia il Giappone è l’espressione massima del picco di sviluppo raggiunto dal Giappone a fine anni ’80, il prodotto della corruzione del sistema che giapponesi e americani hanno messo in piedi dopo le bombe di Hiroshima e Nagasaki, mattoncino su mattoncino, Lego su Lego.

"Siamo mattoncini personalizzati e deformati e non ci incastriamo su nessuna piattaforma," scrive Hiro, come a interpretare il disagio di una generazione che non si ritrova più negli schemi educativi e nelle rigide convenzioni sociali del proprio Paese, ma che non ha la forza – o la possibilità – di proporre un vero cambiamento.

Inevitabilmente, i rapporti tra genitori e figli si incrinano: le due generazioni, messe a confronto, vedono rispettivamente l’una nell’altra il fallimento del sistema-Giappone. Se per i genitori i figli ventenni sono fallimentari e scansafatiche, questi ultimi riconoscono nei genitori solo frustrazione, nella forte discriminazione tra sessi o ancora nella routine dell’impiego a vita.

È proprio questo sentimento di precarietà e frustrazione che, pare suggerire l’autore, genera mostri. Dio odia il Giappone non è solo il romanzo di una non-generazione, ma diventa anche un resoconto attendibile della fragilità e dell’isolamento di un intero paese. Coupland infatti dedica un’attenzione speciale all’impatto delle nuovi religioni sulla sensibilità collettiva e agli attentati al gas sarin del 1995 nella metropolitana di Tokyo, il loro prodotto più scellerato.

Coupland ritrae una società per certi versi facilmente addomesticabile, per altri sempre pronta a far fronte al peggio, che sia un potentissimo terremoto o l’attentato più inspiegabile e brutale. In questo, Coupland non nasconde il suo rispetto, financo il suo amore, per il Giappone.

L’autore – ha una laurea in scienze del business giapponese ottenuta all’Istituto nippo-americano per le scienze manageriali di Honolulu – riesce bene a penetrare la psiche giapponese e non fatica ad immedesimersi con il narratore, facendolo dialogare direttamente con il lettore. L’autore pur da gaijin (straniero, in giapponese), attraverso l’uso della lingua giapponese e l’intervento degli artwork e la descrizione di topos noti (gli stranieri che si recano nel Paese con il solo obiettivo di fare profitto, gli spazi asettici di molti edifici costruiti durante la bolla speculativa), rendono l’opera attraente per quanti conoscono il Giappone.

L’opera, comunque, è tutt’altro che rivolta a un pubblico di specialisti. Anzi, è pensata per essere interattiva e coinvolgere il maggior numero possibile di lettori/spettatori. "Il libro diventa più divertente da leggere se non parli giapponese o non sai niente dei caratteri", scriveva Coupland dal suo blog sul New York Times. "Devi lavorare duro per capire cosa sta succedendo, e quindi quello che ne ricaverai potrebbe benissimo essere meglio della storia vera." 

 
[foto credits: wired.com]

Douglas Coupland, DIO ODIA IL GIAPPONE, Isbn, 224 pp, 9€, Traduzione di Anna Mioni

Leggi un estratto del libro

*Marco Zappa nasce a Torino nel 1988. Fa il liceo sopra un mercato rionale, si laurea, attraversa la Pianura padana e approda a Venezia, con la scusa della specialistica. Qui scopre le polpette di Renato e che la risposta ad ogni quesito sta "de là". Va e viene dal Giappone, ritorna in Italia e si ri-laurea. Fa infine rotta verso Pechino dove viene accolto da China Files. In futuro, vorrebbe lanciarsi nel giornalismo grafico.