Giappone – A lezione di “inadeguatezza”

In by Gabriele Battaglia

Il Premio Pritzker di quest’anno è stato vinto, con ritardo secondo molti, da un giapponese: Ito Toyo. Questi è tra gli architetti più interessanti e innovativi degli ultimi decenni. Uno che all’innovazione tecnica ed estetica ha affiancato l’impegno nel sociale. Ma che continua a fare dell’inadeguatezza una forza. “Robot non convenzionale”; “iconoclasta dell’architettura”; portavoce dell’ “inadeguatezza” dell’architettura nei confronti dei limiti imposti dalla società. Così è stato definito l’architetto giapponese Ito Toyo, vincitore del Premio Pritzker, quello che in molti definiscono il Nobel dell’architettura, di quest’anno.

Un professionista dal “talento unico”, sempre in cerca di nuove forme di creazione architettonica: in queste poche battute si può riassumere il verdetto della giuria del premio. “Durante tutta la sua carriera – si legge infatti nelle motivazioni – Ito Toyo ha saputo mettere insieme un’opera che combina innovazione concettuale con edifici egregiamente eseguiti. Nel creare splendide architetture per più di quarant’anni, si è cimentato con successo in biblioteche, case, parchi, teatri, negozi, uffici e padiglioni, ogni volta cercando di espandere le possibilità dell’architettura”.

Alla notizia dell’assegnazione del premio, nel ringraziare, Ito ha colto l’opportunità al balzo per ribadire il proprio credo. Ha sottolineato come l’architettura sia legata a “diverse costrizioni sociali” e come sarebbe possibile creare spazi più a misura d’uomo se solo “ci liberassimo” di queste anche solo per pochissimo. “Ogni volta che un edificio è completo, divento penosamente consapevole della mia stessa inadeguatezza (…) E’ così che non fisserò mai il mio stile architettonico, e non sarò mai soddisfatto di nessuno dei miei lavori”.

Ito è il sesto architetto nipponico a ricevere l’importante riconoscimento: prima di lui nell’87 Tange Kenzo, Maki Fumihiko nel 93, Ando Tadao nel 95 e il team di Sejima Kazuyo e Nishizawa Ryue nel 2010.

Nato a Seul nel 1941, quando la Corea era ancora formalmente Giappone, Ito ha lavorato principalmente tra Giappone e Taiwan. Tra i suoi progetti la Mediateca di Sendai, il negozio Tod’s a Omotesando, il distretto dello shopping di lusso di Tokyo, lo stadio di Kaohsiung e la Taichung Metropolitan Opera House, entrambi a Taiwan. 

I suoi primi lavori furono residenziali: la “Casa d’alluminio”, poco fuori Tokyo, e la “U bianca”, una casa a forma di "u", costruita sempre nella capitale giapponese su committenza della sorella maggiore appena rimasta vedova, attirarono l’attenzione del mondo dell’architettura. L’idea alla base del lavoro dei Ito è da sempre quella di creare fluidità nelle strutture e spazi qualitativamente migliori, armonizzati sia all’interno che all’esterno; da qui l’uso di materiali leggeri, come alluminio, reti di metallo e strutture tubolari. Stesse caratteristiche che ritroviamo anche in progetti successivi come la Torre dei venti a Yokohama del 1986, e la Mediateca di Sendai del 2000, nella prefettura di Miyagi, a circa 300 km a nord della capitale. 

Proprio di quest’ultima "creatura" Ito va particolarmente fiero. “La Mediateca è diversa da tutti gli altri edifici pubblici sotto molti aspetti”, aveva dichiarato il Pritzker 2013 nell’introduzione di un libro a lui dedicato. “Le funzioni dell’edificio sono principalmente quelle di libreria e galleria d’arte, ma l’amministrazione ha lavorato attivamente per addolcire le divisioni tra i diversi programmi, rimuovendo le barriere fissate tra vari mezzi comunicativi fino a evocare progressivamente l’immagine di come un’istituzione culturale dovrebbe essere da oggi in avanti”.

Un luogo che unendo l’arte ai libri, ai video e alla musica è diventato il vero cuore pulsante della cultura di un’intera città. Un edificio notevole anche dal punto di vista strettamente tecnico: qui si raggiunge il punto più alto della poetica architettonica di Ito. Con la sua facciata in vetro e i suoi tubi strutturali la Mediateca di Sendai raggiunge quella fluidità e quella qualità spaziale a lui tanto care.

Qualità che nemmeno il terremoto di due anni fa è riuscito a incrinare. “In nessun altro posto ho la sensazione che gli edifici respirino”, aveva affermato Ito durante un’intervista ai volontari di Recorder 311, un progetto nato per documentare le testimonianze di persone coinvolte nel terremoto dell’11 marzo 2011 e condividerle online. “Quando con il mio staff siamo riusciti ad arrivare a Sendaitre settimane dopo il terremoto e ad accedere al settimo piano della Mediateca, siamo rimasti stupiti e sollevati del fatto che non ci fossero danni gravi, nonostante molti pezzi di soffitto caduti”.

Ito è stato tra l’altro animatore, insieme ad altri giovani architetti, del progetto Minna no ie (La casa per tutti), teso a fornire a quanti avevano perso la casa o vivevano (e vivono ancora) in abitazioni temporanee nelle zone colpite dal sisma degli spazi comuni, o come dice Ito “un confortevole salotto”, in cui soprattutto gli anziani potessero ritrovarsi per rilassarsi, parlare, mangiare, leggere e riscoprire una dimensione sociale nella catastrofe.

La scelta della giuria del Pritzker di premiarlo solo oggi, dopo anni di riconoscimenti ad architetti dal portfolio notevolmente più sottile, è stata criticata. In molti, infatti, attendevano da anni che il Pritzker premiasse Ito; qualcuno si era addirittura chiesto se per caso l’architetto giapponese non fosse già stato premiato all’insaputa di tutti.  Dato oggi, il riconoscimento, sottolineano anche Oliver Wainwright sul Guardian e Kelly Chan su Blouin Artinfo, appare “scaduto da molto tempo”.  Ma il commento migliore spetta al Chuo Nippo, quotidiano di Seul in lingua giapponese: al Pritzker quest’anno “ha trionfato chi era naturale che vincesse”.

Il premio verrà consegnato il 19 maggio prossimo. Quel giorno, forse, per Ito il compito più arduo sarà uno solo: abbandonare per poche ore il proprio senso di inadeguatezza. 

[foto credits: photo.parismatch.com, kmckitrick.wordpress.com]

*Marco Zappa nasce a Torino nel 1988. Fa il liceo sopra un mercato rionale, si laurea, attraversa la Pianura padana e approda a Venezia, con la scusa della specialistica. Qui scopre le polpette di Renato e che la risposta ad ogni quesito sta "de là". Va e viene dal Giappone, ritorna in Italia e si ri-laurea. Fa infine rotta verso Pechino dove viene accolto da China Files. In futuro, vorrebbe lanciarsi nel giornalismo grafico.