Almeno 120 mila persone sono scese in piazza domenica 30 agosto all’insegna di questi slogan per protestare contro le proposte di legge volute dal governo di Shinzo Abe per allentare i vincoli di ingaggio delle Forze di autodifesa nazionale — l’esercito giapponese — nelle missioni all’estero. Persone di tutte le età, comprese famiglie con bambini, hanno invaso il viale che arriva al cancello principale del parlamento nazionale cantando slogan come “No alla guerra”, “Proteggiamo la costituzione”, “Abe dimettiti”.
In tutto il paese, scrivono i media nazionali, si sono tenute oltre trecento manifestazioni. Tokyo è stata però il vero fulcro della protesta.
Secondo alcune fonti, infatti, oltre 350mila persone avrebbero partecipato alla protesta, oltre il record dei circa 200mila riunitisi nel parco di Yoyogi a luglio 2012 per protestare contro il nucleare a poco più di un anno dall’incidente di Fukushima.
La manifestazione di ieri giunge al termine di oltre due mesi di proteste continue sotto il parlamento nazionale contro le modifiche al trattato di cooperazione e sicurezza tra Usa e Giappone su cui i due paesi hanno trovato un accordo a maggio di quest’anno durante una visita ufficiale del primo ministro giapponese a Washington.
Le proposte di legge, accusano opposizioni, costituzionalisti e società civile, violano l’articolo 9 della costituzione che sancisce la rinuncia del Giappone alla guerra come metodo di risoluzione delle controversie internazionali.
Sono due in particolare i provvedimenti al centro del dibattito: una proposta di legge permanente che agevolerebbe l’invio di truppe all’estero con compiti di sostegno logistico a eserciti stranieri in caso di missioni Onu e una serie di provvedimenti che permetterebbero alle forze giapponesi di ricorrere al diritto all’autodifesa collettiva — quindi di rispondere al fuoco avversario — in caso di attacco a forze alleate anche senza un diretto coinvolgimento dei militari del Sol Levante.
Se approvate, le modifiche potrebbero portare il Giappone nuovamente in guerra a settant’anni esatti dalla resa al termine della Seconda guerra mondiale.
Appena quindici giorni prima, in occasione del settantesimo anniversario dalla fine della Seconda guerra mondiale, il premier Abe aveva rinnovato l’impegno del Giappone nel garantire un futuro di pace e prosperità per l’Asia e il mondo, ma, allo stesso tempo, affermato che "le giovani generazioni [di giapponesi, ndr] che non hanno niente a che veder con la guerra non devono essere predestinate a chiedere scusa". Parole che non sono piaciute da Pechino a Seul.
“Siamo qui riuniti per dire no a queste leggi ridicole, stupide e pericolose. Facciamo cadere Abe e il suo governo”, ha detto di fronte a migliaia di manifestanti Ichiro Ozawa, veterano della politica giapponese oggi guida di un piccolo partito di opposizione.
Gli fanno eco le parole di Katsuya Okada, leader del partito democratico, primo partito di opposizione al governo: “Dobbiamo fare in modo che il governo Abe si accorga finalmente che l’opinione pubblica rabbia e senso di crisi. Dobbiamo lavorare insieme per far naufragare le proposte di legge”. E proprio in questo senso va letto l’incontro tra partito democratico e partito per l’innovazione — quarta forza politica nazionale — di lunedì. Se l’opposizione coesa dovesse bloccare i provvedimenti alla Camera alta, questi dovrebbero tornare nel primo ramo del parlamento per essere ridiscussi.
Il governo ha finora ignorato le proteste e più volte ribadito l’assoluta necessità delle riforme in risposta a un contesto internazionale sempre più complesso e imprevedibile. “Le nuove leggi di sicurezza — ha più volte detto lo stesso Abe — sono necessarie per proteggere la vita dei cittadini e prevenire la guerra”.
Ma per l’esecutivo di Tokyo quella attuale è una fase delicata. La grande partecipazione è il segno più evidente del crollo dei consensi del governo Abe, eletto a dicembre 2012 in seguito a una campagna incentrata sui temi della ripresa economica, ma incapace di garantire alla terza economia mondiale l’uscita da vent’anni di stagnazione.
Al di là del malcontento per le mancate riforme strutturali e per l’insistenza sui temi della sicurezza nazionale, sul governo conservatore del partito liberaldemocratico pesano errori di gestione dei fondi pubblici per il progetto del nuovo stadio nazionale — al momento fermo — destinato a ospitare le cerimonie di apertura e chiusura delle Olimpiadi estive del 2020 che si terranno per la seconda volta dal dopoguerra nella capitale giapponese.
Secondo il sociologo e storico giapponese Eiji Oguma, dalle pagine del quotidiano Tokyo Shimbun, la protesta di ieri ha dimostrato una volta per tutte che anche in un paese spesso descritto come armonioso come il Giappone è in atto una transizione culturale evidente. Ora “quando [l’opinione pubblica] si rende conto di un’ingiustizia, alza la voce”.
[Pubblicato in forma ridotta su il manifesto; foto credit: mainichi.co.jp]