L’opera di non fiction di Vikram Chandra parte da presupposti terrificanti, per il lettore non specializzato. Un po’ saggio, un po’ autobiografia, un po’ opera di rivalutazione poetica dell’universo degli smanettoni, con «Geek Sublime» Chandra mette le mani su un repertorio per definizione respingente, andando a scavare nelle origini del codice binario – il brodo primordiale dell’informatica – tracciando al contempo paralleli poetici con la storia della grammatica mondiale, che non può non partire dalla tradizione del sanscrito.Ecco, se qualcuno mi avesse detto «perché non ti leggi un bel libro sui linguaggi della programmazione e la teoria grammatica del sanscrito» avrei probabilmente risposto «e perché non pulire gli interstizi delle piastrelle del bagno con uno stuzzicadenti?». Invece, superando il pregiudizio, «Geek Sublime» (edito in Italia da egg) è un saggio allucinante che, non senza fatica, non vi lascerà insoddisfatti.
In 250 pagine Chandra stende un saggio che sembra un’auto seduta di psicoanalisi per rispondere alla domanda «perché mi piace quello che mi piace?», partendo dal fatto che lo scrittore classe 1961, indiano di nascita emigrato negli Stati Uniti, ha due passioni all’apparenza difficilmente compatibili: la scrittura creativa e la scrittura del codice di programmazione.
Due «hobby» che col tempo sono diventate due professioni – piuttosto remunerative – ma che solo con «Geek Sublime» Chandra decide di sviscerare con un lavoro meticoloso di ricerca accademica, dalla grammatica di Pāṇini – e siamo, al più tardi, poco prima del III secolo Avanti Era Volgare (come specifica lo stesso Chandra rifiutandosi di usare la dicitura Avanti Cristo, che ha connotazioni religiose intrinseche – applausi!) – ai primi programmatori del secondo dopoguerra; dalle teorie linguistiche e filosofiche di Abhinavagupta – intorno all’anno mille – alla letteratura dei forum online, dove centinaia di programmatori davano libero sfogo a frustrazioni, odi poetiche al codice, vomitate di bile contro le nuove generazioni di smanettoni ignoranti e senza rispetto, invettive sessiste da circoletto del dopolavoro, autocelebrazioni di solutori incaponiti di «bug» e valutazioni estetiche – a tratti estatiche – sulla bellezza del codice binario e della sua vastissima progenie di linguaggi.
Che permettono anche a noi, ignoranti, di interagire con estrema facilità con «la macchina», pc, tablet o smartphone che sia.
Nell’analisi genealogica della scrittura – sia del codice o sia narrativa – Chandra va a cercare l’origine esoterica della «bellezza», dove esoterico viene utilizzato nell’accezione più rigorosa del termine: «conosciuto da pochi». Solo raccontando le vite e le opere di chi, a distanza di migliaia di anni, ci ha donato il linguaggio grazie al quale comunichiamo tra esseri umani – la grammatica, la linguistica… – e, più recentemente, tra essere umano e macchina – il codice – nella doppia figura di scrittore e programmatore Chandra accompagna il lettore in una lunga lectio magistralis del dietro le quinte delle nostre vite nell’era della comunicazione.
Ci mostra – semplificando dove può e chiedendo al lettore, a tratti, la pazienza dello studente curioso – gli ingranaggi che muovono allo stesso modo le nostre emozioni di fronte alle opere letterarie come le nostre dita sulle tastiere, svelando il trucco – o la magia – degli artigiani del linguaggio (narrativo o informatico che sia).
In mezzo, c’è la vita di Chandra – che si paga gli studi letterari negli Usa smanettando come tecnico informatico – e c’è l’India degli anni ’80, che si preparava a sfondare nelle lande inesplorate dell’informatica con centinaia di indiani – maschi e, sempre di più, femmine! – pronti ad emigrare negli Stati Uniti armati di umiltà, rigore e abnegazione, a fare la manovalanza della Silicon Valley che stava nascendo. E ora, nel nuovo millennio, a raccogliere i frutti di quella cosiddetta «mafia indiana» che occupa gli scranni più alti dell’informatica mondiale.
Superando la dualità iniziale di linguaggio narrativo e linguaggio informatico – che lungo «Geek Sublime» viene portata avanti di pari passo, a capitoli alterni – l’ultima opera di non fiction di Vikram Chandra alla fine lascia il sapore di un’indagine sulla creazione, in senso lato.
Solo al termine della lettura – non abbattetevi e superate le parti lente della grammatica sanscrita! – ci si convince che no, non era proprio il caso di pulire gli interstizi delle piastrelle del bagno con lo stuzzicadenti. E che unendo una prosa fluida (a proposito, ovazione per la traduzione di Assunta Martinese) a una conoscenza tecnica del linguaggi uomo-uomo e uomo-macchina, Chandra ci ha regalato il lusso di battere le lettere della tastiera con un senso di consapevolezza inedito e, per chi scrive, fino ad ora inimmaginabile.
[Scritto per East online]