FreeVantablack – Le tele bianche di Faurschou

In by Gabriele Battaglia

Una disgraziata scelta censoria si traduce in azione artistico-culturale (anche se i curatori si premurano di dire che non c’è politica). Succede a Pechino, dove la Fondazione Faurschou esibisce una mostra «a metà», suggerendo al gentile pubblico di andare a Hong Kong per vederne la parte «scandalosa» cancellata dai solerti censori di Stato. A volte la creatività viene generata dalle difficoltà e dagli impicci e appare dove non ci si aspetterebbe di trovarla. Nel caso della recente mostra nella Fondazione/Galleria Danese Faurschou nel quartiere 798 di Pechino, la censura imposta dal governo cinese su una parte fondamentale delle opere che dovevano essere esposte ha generato una risposta brillante, intelligente e provocatrice da parte del team dell’organizzazione.

La prevista mostra che doveva mettere accanto le opere dello scultore Christian Lemmerz e quelle del pittore Norbert Tadeusz è rimasta sospesa in un limbo appena le autorità cinesi hanno deciso di proibire l’installazione della serie di dipinti chiamata «Carne», di Tadeusz. In questi dipinti, un certo senso dello spazio e della composizione (che può rimandare un po’ a David Salle, come a Bacon o anche a Otto Dix) si associa a una «palette» forte ma anche contenuta, dalla vena mista, realista-espressionista, mentre il soggetto – la carne – utilizza la rappresentazione del corpo (umano e non), come paradigma simbolico della tortura, dell’abuso, della sessualità e della vita consumata, per continuare, in maniera molto diretta e quasi «didascalica» l’iconografia e la tradizione di una serie ininterrotta di immagini che va da Chardin a Rembrandt, da Soutine a Bacon.

Nel lavoro di Tadeusz, queste vengono reinterpretate con un atteggiamento che, invece di preoccuparsi del «nuovo» sembra invece assicurarsi di una continuità garantita dalla ripetizione dei riferimenti, in maniera metodica e a tratti ossessiva. Che cosa abbiano trovato le autorità cinesi di altamente sovversivo o pericoloso in questi dipinti è difficile da capire.

Sicuramente, sotto il regno di Xi, c’è molta più attenzione al contenuto e alla forma di ogni tipo di arte e di medium espressivo, ma comunque il contenuto di queste opere non è una critica diretta alla Cina, più di quanto non lo sia la reiterazione di un lungo dialogo con un motivo forse ostico, ma molto preciso e specifico della storia dell’arte occidentale.

Questa epica della carne è forse un fardello simbolico per il Governo Cinese? Semplicemente il corpo nudo e la sua rappresentazione anatomica, simbolica e violenta sono ancora «troppo» per la sensibilità asiatica? Ricordiamoci il libro di Francois Julien «Il Nudo impossibile», che spiega come il concetto del corpo – e quindi di conseguenza quello del nudo in arte – non abbia mai avuto un senso dal punto di vista anatomico sia nella filosofia, sia nell’estetica sia nella tradizione culturale Cinese, in senso ampio. O si tratta piuttosto della scelta della palette, sottilmente sviluppata in una forma di espressionismo controllato ma comunque forte e deciso, che può aver avuto un’impatto sensoriale così fastidioso? In fondo le sculture di Lemmerz hanno praticamente gli stessi soggetti e sviluppano la stessa tematica di violenza e decadimento della carne, eppure non sono state censurate: sarà perché sono di un materiale nobile e bianco come il marmo? O sono invece il senso di violenza, di irrazionalità e di pericolo comunicati dai lavori? O ancora, semplicemente perché questi lavori non sono abbastanza consensuali?

La mia scommessa, totalmente personale, è che forse nella serie fortemente connotata di Tadeusz risuona in maniera troppo eclatante la storia dell’arte occidentale, con la sua definizione dell’artista come individuo sempre al limite, che ha a che fare con l’imponderabile assurdità della vita e il suo essere dolore, corpo (e quindi carne) e violenza. L’irrazionalità e l’irreversibilità di questo tipo di affermazione (di origine lontana, ma anche profondamente radicato nell’eredità delle due guerre mondiali – da «Umano troppo umano» di Nietzsche a «Viaggio al termine della notte» di Celine) è forse «troppo», perchè è troppo lontano da una presunta profonda natura cinese? O invece è troppo perché, in forma di specchio simbolico, si connette direttamente alla violenza descritta da Lu Xun, da Lao Shi e da altri grandi conoscitori dell’anima cinese nei romanzi, nella poesia e nella prosa? O forse lo spettro della Rivoluzione Culturale e della carestia provocata dal Grande balzo in avanti, che hanno letteralmente materializzato incubi di corpi, carne e violenza, sono ancora troppo vicini e troppo coscientemente repressi, per correre il rischio di esporli alla natura di questi dipinti e ciò che potrebbero evocare nell’incosciente collettivo? Chi lo sa. Come già detto, le sculture massicce, un po’ rigide ma forti, di Lemmerz, in cui corpi umani e animali si intersecano in maniera intrusiva e volutamente sgraziata, sono state validate e ammesse nello spazio, ma la stessa cosa non è accaduta per i colorati dipinti della serie «Carne». Perché Il marmo non è pericoloso come i colori vivi dal forte tratto emotivo?

Non sapremo mai la ragione vera dell’azione di censura, ma quello che sappiamo per certo è che questi dipinti hanno fatto paura ai censori, e questo è di per se, una cosa buona. Arte 1 – Potere 0, per un attimo, poi inevitabile pareggio e doppietta: Arte 1 – Potere 2.

Ma in modo inatteso, quando la partita sembra chiusa, ecco un colpo di genio; il team pechinese di Faurschou, nell’accettare civilmente il bando, spiega, con un testo articolato e provocatorio ma sempre rispettoso, di non poterlo però accettare fino in fondo, perché in questa mostra, come in tutte le precedenti nel loro spazio, non c’è mai stata l’intenzione di attuare provocazioni politiche verso chi governa questo Paese di cui sono ospiti, ma semplicemente la volontà di esporre arte di altissima qualità e di renderla disponibile al pubblico cinese.

Il testo continua poi dicendo che di conseguenza tutte le tele che avrebbero dovuto essere esposte sui muri dello spazio di Pechino sono state rimpiazzate da un numero equivalente di tele bianche dell’esatta dimensione di ciascuna di quelle di Tadeusz, mentre le originali sono in esposizione aperta al pubblico, nello spazio di Hong Kong.
A Pechino, le sculture bianche di Lemmerz sono quindi circondate dagli spettrali «doppi» vuoti dei dipinti di Tadeusz, di cui rimangono solo un paio di disegni in due stanze posteriori più riparate. Il resto è nel dialogo silenzioso e surreale tra le sculture e i dipinti che avrebbero dovuto esserci.

C’è qualcosa di sbagliato e di fuori posto nella mostra, lo possono sentire tutti, senza necessariamente conoscere ogni dettaglio della storia. La risposta del team di Faurschou alla censura governativa è stata fine, brillante, e provocatrice come un’intervento artistico di qualità. Invece di cancellare la mostra, hanno deciso di presentarne al pubblico la versione «co-curata» dal dipartimento di Pubblica Sicurezza di Pechino, lasciando la metà rifiutata disponibile in quella parte del «uno Stato» che per ora segue ancora il secondo dei «due sistemi». Una bella schizo-mostra per il più grande schizo-Stato. Complimenti!

FreeVantablack è la rubrica sull’arte di China Files, a cura di Alessandro Rolandi. Ogni due settimane, una mostra, un’installazione, una performance o anche solo uno spunto dall’ampio e variegato mondo dell’arte cinese saranno vivisezionati dall’occhio critico e iconoclasta del nostro artista/critico preferito. «Vantablack è un colore nero realizzato con strutture di nanotecnologia, che assorbe la luce in percentuale altissima, rendendo ogni cosa che ne sia ricoperta quasi completamente bidimensionale all’occhio dell’osservatore. Qualche mese fa, il famoso artista inglese di origine indiana Anish Kapoor ha acquistato i diritti d’autore per l’uso artistico del vantablack, rendendolo inaccessibile a chiunque, pena multe e processi, senza il suo consenso o senza che lui ne ricavi un profitto. Essendo questa una delle azioni più inutili e assurde che siano mai accadute, mi è sembrato giusto chiamare una rubrica d’arte con questo nome, per ricordare che la creatività e le idee non dovrebbero mai e in nessun modo essere censurate, o limitate, né dalla violenza degli organismi autoritari, né da quella più dissimulata, ma non per questo meno oppressiva, della celebrità e degli strumenti legali ed economici.» [A.R.]

*Alessandro Rolandi ha studiato chimica, teatro sperimentale, cinematografia e storia dell’arte. Vive a Pechino dal 2003 dove lavora come artista multimediale e performativo, regista, curatore, ricercatore, scrittore e docente. Il suo lavoro si concentra sull’intervento sociale e le dinamiche relazionali, con lo scopo di ampliare la nozione di arte oltre le strutture, gli spazi e le gerarchie esistenti, attraverso l’impegno diretto con la realtà, in diversi modi. Ha fondato il Social Sensibility Research & Development Department di Bernard Controls Asia e collabora regolarmente con diverse riviste e siti: Hyperallergic, Randian, Asialyst.