Forze armate made in China

In by Simone

La Cina sta riqualificando e diversificando le proprie forze armate. Ha rimesso in sesto una portaerei russa e investe in missili balistici. Obbiettivo: contrastare la potenza americana. La strategia ha però spinto i paesi vicini a riarmarsi. Ottimi rapporti con l’Italia. L’intervista a Gianandrea Gaiani. Il mese scorso (tra l’altro nei giorni in cui cadeva il 23esimo anniversario della strage di Tian’anmen) la nave scuola “Zheng He” della Marina militare cinese ha lasciato il porto militare di Taranto, facendo rotta verso la Spagna.

La nave intitolata al navigatore ed esploratore di epoca Ming, che raggiunse le coste dell’Africa e il Mar Rosso, era arrivata in Italia nel ambito di un giro attorno al mondo che la porterà in undici Paesi.

Prendendo spunto dalla visita della Zheng He, China Files ha parlato con Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa, per capire quali siano i rapporti militari tra Cina e Italia e in che direzione vada la Repubblica popolare.

Come descriverebbe i rapporti militari tra Roma e Pechino?

I rapporti sono ottimi. Già nel 1999 ci fu un accordo bilaterale nel campo della tecnologia e degli equipaggiamenti militari, che non ha dato i frutti sperati per l’embargo europeo in vigore dalla repressione dei moti di piazza Tian’anmen nel 1989.

L’Italia assieme alla Francia si batte per la revoca dell’embargo motivando questa scelta con i progressi fatti dal paese nel campo dei diritti umani.A mio avviso è la conferma di una classe dirigente europea fatta da politici che si comportano non da statisti ma da commercianti.

Sul piano strategico la Cina non è una nazione amica. Sul piano commerciale, come hanno scoperto i russi a loro spese, non è conveniente vendere a chi poi copierà o modificherà i prodotti rimettendoli nel mercato.

L’Italia lavora tuttavia per la revoca dell’embargo. In mezzo ci sono interessi politici e industriali. Basti pensare che nel 2010 in un convegno alla Bocconi l’allora presidente e amministratore delegato di Finmeccanica, Pier Francesco Guarguaglini, parlò della Cina come di un cliente come ogni altro.

La Marina militare cinese è recentemente sotto l’attenzione dei media per le dispute territoriali. Penso per esempio alle recenti tensioni con Vietnam o Filippine. Cosa ne pensa?

La Cina era una potenza terrestre. I conflitti ebbero come teatro il continente: nel 1962 quello con l’India, gli scontri al confine con i sovietici lungo il fiume Ussuri, la guerra con il Vietnam. L’esercito era numeroso ma inefficace. Contro i vietnamiti puntava sul massa e gli avversari finivano letteralmente i proiettili per respingere gli assalti.

Oggi invece assistiamo a un miglioramento sul piano qualitativo,anche con una riduzione del numero dei soldati che però diventano professionisti.

Siamo inoltre davanti a una diversificazione delle aree di espansione. Quella marittima ha due motivi fondamentali.

Il primo nazionale. La Cina, come il Giappone o la stessa Italia, è un paese che deve importare materie prime. È inoltre un paese che esporta merci. Tutto ciò passa attraverso i trasporti via mare. In caso di guerra Pechino deve essere capace di controllare le rotte e garantire comunque importazioni ed esportazioni.

La seconda ragione è di ordine strategico. La Cina vuole essere in grado di contrastare l’influenza statunitense e proporsi come un’alternativa.

A questo scopo si è dotata di una portaerei russa che ha provveduto ad ammodernare e che potrebbe replicare in altri due o tre esemplari. Ma ancora per molti anni Pechino non sarà in grado di contrastare sul mare la supremazia statunitense.

I programmi di riarmo cinesi includono inoltre missili balistici per colpire bersagli in movimento come le portaerei la cui localizzazione verrebbe garantita da radar costieri a lunga portata già presenti sulle coste cinesi e dai satelliti da osservazioni. Si tratta di missili velocissimi e difficili da intercettare.

Pechino sta riuscendo nel suo intento?

Per il momento ha fallito nel piano di diventare una forza alternativa. Al contrario è guardata con timore. La sua strategia ha spinto al riarmo i paesi della regione.

Il Vietnam ha addirittura siglato un patto di cooperazione militare con gli ex nemici statunitensi. Le Filippine stanno acquistando navi di seconda mano americane e cacciabombardieri F-16. Il Giappone sta rischierando nelle isole Ryukyu che si estendono fino a Taiwan l’esercito un tempo dislocato nel nord contro un’eventuale invasione sovietica e che così andrà a formare un anello di contenimento.

Mentre per Pechino, risorse energetiche a parte, il controllo delle isole contese con gli altri paesi rappresenta una cintura protettiva avanzata e la possibilità di disporre di basi per muovere nel cuore del Pacifico.

[Foto Credits: pakmr.blogspot.com]