Figlio unico: mi vendo per pagare una tassa

In by Simone

Un uomo si aggira per Pechino. Mostra a tutti un cartello verde dove ha scritto: “Mi vendo per pagare una tassa.

Mi chiamo Yang Zhizhu, ero un professore associato di Scienze politiche alla China Youth University. Mia moglie è rimasta incinta e non ha voluto abortire. Il 21 dicembre 2009 ha partorito la nostra seconda figlia. Ad aprile di quest’anno sono stato licenziato. La mia paga mensile dovrebbe essere di 960 yuan [quasi 109 euro], ma in realtà ne prendo solo 368. Due mesi più tardi mi hanno decurtato altri 960 yuan di paga, e sono andato in rosso. Inoltre, l’ufficio di pianificazione familiare del distretto di Haidian mi ha chiesto di pagare una tassa di 240mila Renminbi [27.239 euro] per il “mantenimento sociale del bambino”.

Il mantenimento sociale del bambino è una tassa aggiuntiva che la famiglia deve pagare per risarcire lo Stato delle spese che dovrà affrontare per un secondogenito non calcolato. Detto così può sembrare giusto, ma questa tassa è di fatto una multa, perdipiù veramente salata. Secondo i documenti che il tribunale del distretto di Haidian ha spedito al professor Yang, la cifra di 240mila Renminbi è stata calcolata moltiplicando per nove lo stipendio annuo del professore.

Lo prevede la legge della pianificazione familiare, meglio conosciuta come legge del figlio unico, entrata in vigore esattamente trent’anni fa. Questo documento, assieme a molti altri, è stato pubblicato sul blog personale del professore, diventato punto di riferimento per migliaia di cinesi con lo stesso problema (ad oggi oltre 670mila accessi).

L’argomento è così dibattuto che la storia del professor Yang è stata ripresa dai principali quotidiani della Repubblica popolare. La sua foto, lanciata dal blog è rimbalzata sul filogovernativo Beijing Times e sul più indipendente Southern Weekend. Century Weekly, il nuovo settimanale diretto dall’indomabile Hu Shuli, è arrivato addirittura a scrivere che studiosi e opinione pubblica sono concordi nell’affermare che mettere al mondo figli è un "diritto base" che non può sottostare a nessuna legge.

Andiamo con ordine. La politica del figlio unico è stata lanciata il 25 settembre 1980 con una lettera del Comitato centrale rivolta agli iscritti e ai Giovani comunisti. Era la formalizzazione di una serie di riflessioni e soluzioni politiche che riconoscevano nella crescita demografica il principale handicap alla crescita economica del Paese.

Ai tempi del presidente Mao non si potevano fermare le nascite. Secondo il grande timoniere, infatti, "l’uomo era il bene più prezioso della nazione". Il controllo della natalità, poi chiamato pianificazione familiare, avveniva incoraggiando il popolo a seguire tre semplici principi: "sposarsi tardi, aspettare molto tra un figlio e l’altro e fare meno figli".

La studiosa statunitense Susan Greenhalgh, autrice di Just One Child – Science and Policy in Deng’s China (Paperback, 2008) ci racconta come nessuno dei leader comunisti se la sentì di imporre un controllo delle nascite fino a quando nel 1978 il programmatore elettronico Song Jian, specializzato in missili, non tornò in patria da un congresso ad Helsinki.

Qui era venuto a conoscenza delle simulazioni al computer di Limits to Growth, un lavoro commissionato dal Mit al Club di Roma, un’associazione non governativa ancora oggi piuttosto influente. Il saggio, rivoluzionario per l’epoca, proponeva modelli matematici che dimostravano inequivocabilmente il disastroso rapporto tra una fortissima crescita demografica e la finitezza delle risorse del sistema mondo per concludere che la Terra, se avesse mantenuto gli stessi ritmi, avrebbe raggiunto il suo "olocausto ambientale" entro il 2000.

La teoria convinse Song che, tornato in patria, costruì un modello simile da applicare esclusivamente al sistema Cina e lo propose al Comitato centrale del Partito.

Sapere aude! Offrire soluzioni scientifiche a problemi sociali era l’utopia del socialismo di Deng. E così il Partito trasformò quello che in Occidente era stato solo un esercizio scientifico in una proposta politica concreta da applicare alla popolazione cinese. La legge del figlio unico, quindi, si basa su una semplice operazione matematica: risorse disponibili in Cina diviso il numero degli abitanti dello stesso paese. Risultato? Un solo figlio per coppia.

Lo stesso documento che inaugura questa politica, afferma che sarebbe durata per trenta, massimo quarant’anni. Così arriviamo all’oggi. Trent’anni sono passati e, anche se le dichiarazioni ufficiali confermano che questa legge rimarrà immutata almeno fino al 2015, qualcosa inizia a muoversi.

Negli ultimi anni alcune deroghe alla legge sembrano trasformare la politica del figlio unico in una politica "dei due figli": le minoranze etniche residenti in zone urbane possono avere fino a due figli (anche di più se residenti nelle campagne); i cinesi han residenti nelle campagne possono avere un secondo figlio se il primo nato è femmina o con gravi deficienze fisiche o psichiche; in alcune regioni o municipalità (come ad esempio Pechino), le coppie formate da due figli unici possono generare due figli; nella regione del Sichuan, disastrata dal terremoto del 2008, è permesso un secondo figlio a chi ne ha perso uno (la stessa deroga specifica: “se il figlio legale è morto e la coppia ha un secondo figlio illegale, quest’ultimo potrà diventare legale”).

Pechino stima che senza l’obbligo al figlio unico i cinesi sarebbero già un miliardo e settecento milioni. E si vanta di aver contenuto la natalità a favore di un incredibile sviluppo economico. Ma è negli stessi provvedimenti correttivi della legge che si intuiscono le problematiche che ha generato.
La forte componente tradizionalista nella società cinese da sempre preferisce il maschio con il risultato di favorire aborti nel caso il nascituro sia femmina.

Il dato è dimostrato dagli studi pubblicati dall’Accademia cinese delle scienze sociali, il più importante think tank di Pechino, che da tempo ha lanciato un allarme: nel 2020 gli uomini in età da matrimonio, ovvero tra i 19 e i 45 anni, saranno 24 milioni in più delle donne, cioè forzatamente gay o single.

Nelle campagne sono inoltre frequenti i casi di aborto o sterilizzazione forzata dalle autorità in caso di un secondo figlio ed esiste, indubbiamente, un esercito di bambini illegali, ovvero non riconosciuti dallo Stato e dunque impossibilitati ad inserirsi nella vita pubblica, dall’asilo in poi.

E mentre la crescita demografica rallenta, la diffusione di un maggiore benessere economico e il conseguente aumento della qualità della vita hanno provocato un improvviso invecchiamento della popolazione. Il risultato è che sempre meno lavoratori supportano il già povero sistema pensionistico cinese e, se lo Stato non ha i fondi sufficienti e l’unico figlio lavora, chi si prenderà cura dei vecchi genitori come insegna Confucio?

Sono questi i punti su cui battono studiosi e intellettuali per convincere le alte sfere a rivedere questa politica e sperano che i dati del censimento nazionale che inizierà a novembre riescano a vincere le ritrosie dei funzionari del Partito.

Intanto l’opinione pubblica si interroga su una legge che condiziona in maniera irreversibile una sfera così intima e privata e si commuove per il caso del professor Yang. Il suo dazibao si conclude così:

Io non ho soldi. Posso pagare i conti solo mettendo in vendita me stesso. […] Per un prezzo di 640mila Renminbi diventerò schiavo di chiunque mi compri e lo servirò fino alla fine dei miei giorni. Rifiuto la carità, anche se mossa da buoni sentimenti. Non voglio diventare un parassita a causa di una figlia nata chaosheng, fuori dalla pianificazione familiare statale."

[Pubblicato su Left] [Foto di Laia Gordi i Vila]