L’ex pornostar canadese di origini indiane, ora attrice di Bollywood, è stata fatta oggetto di un’intervista platealmente inquisitoria, nel tentativo di estorcere a Leone un’autocritica pudica circa il proprio passato lussurioso. Cortesia che l’attrice non ha assecondato, demolendo in 20 minuti il velo di ipocrisia bacchettona tipico dell’India «per bene» e della propria industria cinematografica.Il prossimo 29 gennaio uscirà in tutte le sale indiane «Mastizaade», l’ennesimo pessimo film della vastissima produzione bollywoodiana. Una «adult comedy» sulla falsa riga di «American Pie» e «Scary Movie», per intenderci, declinato alla pruriginosità del subcontinente in una apparente svolta dei costumi nemmeno lontanamente paragonabile al contributo culturale – e siamo serissimi – di un Lino Banfi nostrano.
Protagonista del lungometraggio l’attrice Sunny Leone (nome d’arte, all’anagrafe Karenjit Kaur Vohra): classe 1981, nata in Canada da genitori di origine punjabi (di fede sikh), doppio passaporto statunitense-canadese, una onoevolissima carriera nell’industria del porno internazionale terminata nel 2013, pochi anni dopo aver fatto «il salto» nel grande schermo indiano.
Lo scorso 15 gennaio Leone ha partecipato al noto talk show «The Hot Seat» della rete Cnn-Ibn, programma di interviste one-to-one condotto dal celebre giornalista televisivo Bhupendra Chaubey.
La chiacchierata, che avrebbe dovuto concentrarsi sul lancio del film condita, secondo le previsioni, da alcune domande piccanti per titillare le morbosità del pubblico pudico indiano, è stata invece tra le più imbarazzanti rappresentazioni dell’incapacità dell’India «per bene» di scendere a patti con la normalità di sesso e dintorni. Ed ennesima prova che i valori esposti dalla ex pornostar Leone rimangono infinitamente più aprezzabili di quelli viscidamente insinuati da Chaubey.
I venti minuti di intervista, in poche ore, sono stati diffusi viralmente su Youtube, complice la dimostrazione di self control e concentrazione zen che Leone ha opposto alle continue insinuazioni di Chaubey, nelle vesti di biforcuto moralizzatore nazionale à la Vespa, ossessionato dal passato nel porno dell’intervistata evidentemente non esecrato a sufficienza secondo gli standard di condotta morale dell’India di oggi.
L’intera intervista, in inglese, la potete vedere qui, e ve lo consiglio di cuore come operazione propedeutica ai ragionamenti che proverò a fare sotto.
Il tenore dell’intera intervista – dissezionata brillantemente, tra gli altri, dal blog collettivo femminista indiano The Ladies Finger – è chiaro: Chaubey, dall’alto dello scranno morale del maschio patriarca portabandiera dei «valori indiani», per 20 minuti filati ha tentato in ogni modo di insinuare il senso di colpa in Leone, la donna poco di buono che sta provando a rifarsi una verginità alle spese della tradizione filmica di Bollywood, contaminandola col sudiciume del proprio passato pernicioso.
Purtroppo per Chaubey, e per la gioia immensa di chi scrive e di migliaia di milioni di uomini e donne del subcontinente, all’Inquisizione Spagnola con caratteristiche indiane Leone ha saputo opporre freddezza e determinazione rarissime nelle apparizioni pubbliche di attrici di Bollywood (ne ricordo una simile di Priyanka Chopra, anni fa, oltre alle prese di posizione anche politiche della bravissima Kalki Koechlin), schivando con eleganza le domande giornalisticamente indecenti del conduttore e muovendo un’unica risposta consuntiva alle varie illazioni subìte da Chaubey: rifarei tutto quello che ho fatto in passato, non ritengo che il porno mi abbia ostacolato in alcun modo, non ho alcun rimpianto e se a qualcuno non va bene sono affari suoi, io sono una professionista e voglio solo lavorare.
Leone, forse inavvertitamente – ma non ne sono certo, considerando il cervello dimostrato il 15 gennaio – in 20 minuti è stata in grado, da sola, di stracciare il velo di ipocrisia che la società indiana si ostina a levare sopra la massima espressione popolare della propria produzione culturale: Bollywood.
Dalle parole di Chaubey, la «fraternity» di Bollywood è fatta di mirabili artisti campioni di integrità, «veri attori e attrici» contrapposti alla «item girl» (termine bollywoodiano per indicare la donna sensuale senza arte né parte nel cinema nazionale) Sunny Leone, una parvenu del settore accolta solo per le sue forme e per l’alone di sessualità esplicita evocato anche solo dal nome («il più ricercato su Google in India, più del primo ministro Modi», specifica Chaubey).
Se le doti artistiche di Leone, per chi scrive, sono attorialmente pessime, è vero però che, andreottianamente parlando, «intorno a me non vedo giganti». A parte una manciata di attori e attrici molto bravi – e alcuni eccezionali, ad esempio Irrfan Khan o l’enorme Nawazuddin Siddiqui, vedeteveli insieme in «The Lunchbox», o la stessa Kalki Koechlin – il resto dell’esercito di belloni e bellone di Bollywood ha caratteristiche espressive tipiche dell’artigianato in legno. E una dose di personalità difficilmente paragonabile a Leone che, in un paese che fa dell’autoerotismo il placebo a problemi di libertà dei costumi sistematicamente ignorati in nome dei «valori indiani», descrivendo il suo inizio nel porno è riuscita a dire:
«Non era qualcosa a cui aspiravo particolarmente, è semplicemente capitato. Ho incontrato un agente, e quando ho visto le foto di queste donne non ho pensato ‘Oh, questo è volgare’, non ho detto ‘Questo è sbagliato’. Ho pensato fossero belle, ho pensato fossero sexy, belle, libere, fanno tutto ciò che vogliono. L’ho vista così».
Forse inconsciamente, l’ex pornostar Leone ha detto la frase più femminista sentita sui mezzi di comunicazione di massa indiani da molto tempo a questa parte. E milioni di indiani e indiane, un giorno, gliene saranno grati.
[Scritto per East online; foto credit: mashable.com]