Sospendiamo la programmazione d’agosto con un commento sul disastro di Tianjin. La morte di 114 persone, per ora, deve trovare uno o più responsabili da additare e porre come emblema della vergogna, almeno fino allo scandalo successivo. E come da copione, ieri il responsabile cinese della sicurezza sul lavoro, Yang Dongliang (per due anni vice manager della United Chemichals company e per 11 anni vicesindaco di Tianjin) è stato messo sotto indagine «per gravi violazioni» L’imprevedibilità dei cinesi — un tratto piacevole e caratteristico che spesso si perde nelle cronache della Cina — scompare totalmente quando di mezzo ci sono una tragedia e il Partito comunista.
Nonostante le liturgie e le logiche con le quali si muove il Partito siano spesso imperscrutabili, a fronte di scandali che diventano casi nazionali e mondiali, tutto diventa pronosticabile. È matematico che vengano ben presto trovati uno o più responsabili del grave danno (specie se è costato la vita a parecchie persone e se ha comportato una copertura mediatica internazionale), che rapidamente siano accusati di crimini e che infine trovino la forca (in rari casi la pena capitale viene tramutata in ergastolo).
È accaduto per gli scandali della Sars, per quelli del latte contaminato e per altre tragedie legate a questioni di sicurezza per la vita dei cinesi ed è probabile avvenga anche per quanto avvenuto a Tianjin.
La morte di 114 persone, per ora, deve trovare uno o più responsabili da additare e porre come emblema della vergogna, almeno fino allo scandalo successivo. E come da copione, ieri il responsabile cinese della sicurezza sul lavoro, Yang Dongliang (per due anni vice manager della United Chemichals company e per 11 anni vicesindaco di Tianjin) è stato messo sotto indagine «per gravi violazioni», un modo classico con il quale il Partito intende «corruzione».
Benché nei comunicati ufficiali della Corte del Popolo, ripresi dalle agenzie nazionali, non si faccia esplicitamente il collegamento alla questione di Tianjin nessuno mette in dubbio che l’inchiesta sia associata a quanto accaduto a pochi chilometri dalla capitale.
Le aziende che avevano il compito di stoccare il materiale nocivo (probabilmente il cianuro di sodio) non avrebbero avuto le licenze necessarie a svolgere quel compito, altro dato che era emerso nei primi giorni, ma che è stato sdoganato ufficialmente dalla Xinhua, l’agenzia di stampa ufficiale, solo ieri. Nei registri non si trovano tracce dei permessi e le voci secondo le quali la Ruihai International Logistic (l’azienda che doveva occuparsi delle sostanze pericolose) avesse agganci con funzionari importanti del Partito confermerebbero la «distrazione» e l’assenza di controlli puntuali.
Non a caso 10 manager dell’azienda, tra cui i due soci principali e potenziali prestanome di personaggi che si suppone siano più rilevanti, sono stati arrestati ieri. L’accusa: l’azienda avrebbe avuto una licenza per stoccare 10 tonnellate di cianuro di sodio, ma in realtà ne avrebbe sistemato 700 tonnellate in container di legno e metallo a meno di 600 metri di distanza da un complesso residenziale.
Come al solito dunque il Partito procede alla ricerca dei responsabili cui affibbiare il disastro. Anche le esplosioni di Tianjin hanno di sicuro a che fare con la corruzione, ma evidenziano alcuni problemi ben più ampi.
In primo luogo il problema degli standard della sicurezza in Cina, ancora troppo bassi per un paese che chiede con forza di essere considerato una potenza mondiale (solo nel 2015 le vittime di incidenti in siti industriali sono oltre 200).
In secondo luogo conta l’atteggiamento dei funzionari, più propensi a dare evidenza ai lati positivi, nascondendo quelli negativi (compresi obblighi burocratici) e finendo poi per creare dei cortocircuiti che nel peggiore dei casi danno vita a tragedie. Per ora il bilancio di Tianjin rimane quello di oltre 100 vittime, con centinaia di feriti. Secondo il China Daily inoltre, «una delle 17 stazioni di monitoraggio della qualità dell’aria ha rilevato livelli di cianuro di idrogeno superiori dello 0,08 per cento» secondo quanto riferito da Bao Jingling, ingegnere capo del Tianjin Environment Protection Bureau. Bao ha anche dichiarato che altri 27 siti per il monitoraggio della qualità delle acque sono stati istituiti per rilevare la presenza di cianuro.
Ieri a Tianjin ha piovuto e molti cittadini cinesi hanno postato le foto degli effetti della pioggia su internet, attraverso le reti sociali (molte immagini sarebbero state censurate). Il sito Shanghaiist ne ha raccolte alcune, ma anche il quotidiano ufficiale Beijing Times ha riferito di «una grande e anormale quantità di schiuma bianca in strada dopo la pioggia». [Scritto per Il Manifesto]