Elezioni sudcoreane – Potere ai piccoli, contro i chaebol

In by Simone

I temi economici sono stati al centro del dibattito politico. Tra gli slogan più in voga quello che chiede maggiore democrazia economica, ossia meno influenza dei grandi conglomerati sul sistema Paese e una riduzione delle disuguaglianze.
Lo slogan “democrazia economica” è diventato uno dei più citati nella campagna elettorale sudcoreana. Non soltanto l’opposizione liberale, anche i conservatori del Seanuri Party (Nuova Frontiera) hanno fatto proprio questo impegno.

Alla base della democrazia economica, slogan abbastanza vago entro cui ricadono diverse rivendicazioni, c’è una sempre maggiore percezione delle diseguaglianze nel Paese e la retorica contro i chaebol, i grandi conglomerati che dominano l’economia sudcoreana.

Non di rado i due fattori coincidono. Usando un altro slogan, questa volta rubato al movimento Occupy, i conglomerati rappresentano il ricco 1 per cento contrapposto al restante 99 per cento.

Come spiegato da Aidan Foster Carter, esperto della Economist Intelligence Unit e di Oxford Analytica, l’economia sudcoreana è composta da “poche balene e da una miriade di pesciolini d’acqua dolce”. Nel 2010 i cinque più grandi chaebol hanno generato qualcosa come il 56 per cento del prodotto interno lordo sudcoreano.

Gruppi come Samsung, Hyundai, LG sono visti con orgoglio dai sudcoreani. Dagli anni Sessanta del secolo scorso sono stati protagonisti dell’industrializzazione del Corea del Sud, contribuendo anche a formare l’identità nazionale.

Di contro sono anche percepiti come predatori che non concedono spazio a piccole e medie imprese. Senza contare l’influenza che hanno sul piano politico, anche con loro uomini che si lanciano nell’agone pubblico e l’immunità dalla legge di cui grazie a tali connessioni sembrano godere i vertici delle società. La protesta lo scorso ottobre dei piccoli negozianti contro i grandi ipermercati, controllati manco a dirlo dai chaebol, è soltanto uno degli ultimi esempi in ordine di tempo del malcontento.

L’economia è stato il tema del secondo dei tre dibattiti televisivi obbligatori che i candidati alle presidenziali sudcoreane hanno dovuto affrontare. Qui Park Geun-hye e Moon Jae-in, i più accreditati per la possibile vittoria con la prima data per favorita, hanno marcato le proprie differenze.

Più cauta Park, più convinto Moon. Certo Kim Jong-in, tra i consiglieri economici della candidata conservatrice, si è distinto in campagna elettorale per le critiche ai chaebol e per gli attacchi alla federazione delle industrie lo scorso giugno.Come nota Foster Carter tali posizioni non sono nuove, soprattutto quando occorre convincere l’elettorato.

In quest’anno Park si è discostata anche dalla tradizionale vicinanza dei conservatori al mondo imprenditoriale. Lo stesso capo di Stato uscente, Lee Myung-bak, ha avuto un passato da dirigente alla Hyundai. Senza contare che i conglomerati furono lo strumento con cui il padre della candidata, il generale Park Chung-hee, lanciò la modernizzazione della Corea del Sud, governata con il pugno di ferro.

Le critiche di Park, tuttavia, sembrano essersi fatte meno forti. La candidata conservatrice ha proposto un approccio pragmatico alla questione per non danneggiare il fulcro dell’economia basata sulle esportazioni e società cui i giovani laureati continuano comunque ad ambire. Interventi troppo drastici farebbero perdere competitività alle aziende e renderebbero difficili gli investimenti, è la tesi dei sostenitori dei conglomerati.

Per i liberali del Democratic United Party questa posizione ambigua non fa che preservare la forza dei chaebol. Di contro Moon e i suoi puntano invece a imporre ai conglomerati la rinuncia alle partecipazioni incrociate con cui le grandi dinastie industriali riescono a controllare imperi economici anche con quote limitate.

[Foto credit: editorial.equities.com]