La Corea del Nord entra di prepotenza nel dibattori elettorale sudcoreano sparando un razzo in orbita. Entrambi i candidati vogliono riaprire il dialogo con Pyongyang, ma a condizioni diverse.
Mercoledì, quando i sudcoreani andranno ai seggi, sarà trascorsa una settimana esatta dal lancio del razzo con cui la Corea del Nord ha mandato in orbita il suo primo satellite. Ancora prima che l’Unha-3 fosse posizionato sulla rampa, Seul l’aveva definito un’azione di disturbo nella corsa alle presidenziali.
Già punto cardine della campagna elettorale e al centro del primo dibattito televisivo tra i candidati, il rapporto con Pyongyang è tornato di prepotenza nella sfida tra la conservatrice Park Geun-hye e del liberale Moon Jae-in.
Il punto in comune tra i due è la volontà di riaprire il dialogo con il regime dei Kim ammorbidendo i toni e la linea dura tenuta negli ultimi cinque anni dal presidente uscente Lee Myung-bak.
Modi e tempi differiscono. Per Park, che viene dalle file dello stesso partito di Lee, si profila una strategia più cauta. Lei stessa ha ammesso la disponibilità ad incontrarsi con il giovane leader Kim Jong-un. Ogni apertura è però condizionata a un cambio di atteggiamento al vertice di Pyongyang.
“Nessun incontro soltanto per il gusto di farlo”, ha detto la candidata, citata dal Financial Times. Affinché Seul tenda la mano sotto un’eventuale amministrazione Park, i nordcoreani dovranno prima ammettere le proprie responsabilità e chiedere scusa sia per l’attacco contro la motovedetta Cheonan – affondata a marzo del 2010 – costato la vita a 46 marinai, sia per il bombardamento dell’isola di Yeonpyeong che a novembre dello stesso anno fece quattro morti, tra cui due civili, nel più grave attacco dall’armistizio che mise fine al conflitto coreano nel 1953.
Anche Pyongyang non ha mancato di dire la sua nella campagna elettorale. Gli attacchi contro i conservatori sono andati avanti evocando il ritorno degli anni dell’autoritarismo. Argomento cui Park è sensibile in quanto figlia del generale Park Chung-hee, numero uno del governo militare che guidò la Corea del Sud tra gli anni Sessanta e Settanta del scorso secolo.
Dopo gli attacchi contro il presidente Lee, i nordcoreani hanno iniziato nuovamente a fare propaganda prendendo di mira Park, già protagonista di una parodia del tormentone Gangnam Style, che ricordava la sua famiglia.
Pyongyang ha esortato Park a prendere le distanze dalle posizioni dell’attuale capo di Stato e spiegare come le sue idee sull’abbandono del programma nucleare del regime si distacchino da quelle di Lee. Richiesta arrivata prima che il portavoce della candidata definisse il razzo nordcoreano un modo per destabilizzare il voto.
Le tre settimane in cui la propaganda nordcoreana ha deciso di non attaccare Park sono state un modo per scrutare le opportunità di rinnovati rapporti con la futura amministrazione, sebbene il quotidiano ufficiale del Partito dei lavoratori abbia chiuso ogni porta alla ipotesi di migliori relazioni tra le due metà della penisola coreana.
Sul fronte liberale Moon Jae-in punta invece sulla ripresa della cosiddetta politica del “sole splendente” portata avanti durante le amministrazioni di Kim Dae-jung e Roh Moo-hyun (per cui Moon servì come capo di Gabinetto) tra il 1998 e il 2007. Secondo il candidato, la politica del dialogo portò progressi nelle relazioni tra le due Coree e ridusse la minaccia militare nordcoreana.
A suo favore Moon può inoltre puntare sul fallimento dei servizi d’informazione, colti alla sprovvista dal lancio di mercoledì scorso, che appena la sera prima si pensava potesse essere rinviato.
Secondo fallimento dopo lo stupore per la scoperta lo scorso dicembre della morte del Caro Leader, Kim Jong-un, annunciata tre giorni dopo l’avvenuto decesso dalla televisione nordcoreana senza che l’intelligence del Sud avesse avuto avvisaglie al riguardo.
Secondo i detrattori della strategia di Moon, la Corea del Nord punta invece a ricevere aiuti senza che questo comporti l’abbandono del programma nucleare.
Come scrive Andrei Lankov sull’Asia Times anche Kim Jong-un, tuttavia, ha da temere dalla “sunshine policy”. Questa presuppone infatti che le élite nordcoreane, anche ai livelli più bassi, possano entrare in contatto con i sudcoreani.
Un incontro che potrebbe mettere in dubbio le certezze instillate dalla propaganda, avendo un effetto più dirompente dei volantini spediti oltre confine con i palloni, che agli occhi dei nordcoreani possono apparire come un tentativo, da parte opposta, di influenzare il loro pensiero.
[Foto credit: koreabang.com]