Quelle del 16 dicembre prossimo saranno per il Giappone le prime elezioni del dopo Fukushima. Si svolgeranno in un clima di quasi totale sfiducia nei confronti di una politica sempre più frammentaria e incapace di dare risposte certe alla decennale stagnazione economica. E con il ricordo del disastro nucleare di un anno e mezzo fa ancora vivo nella memoria.
“In tre si ha la saggezza di un buddha,” dice un proverbio giapponese. Negli ultimi tre anni, però, al Giappone tre uomini non sono bastati per dare continuità al governo del Partito democratico. E ora che la crisi politica è arrivata al suo epilogo e le elezioni sono dietro l’angolo, la maggioranza uscente rimpiange di non aver avuto “saggezza” a sufficienza.
Lo storico trionfo del Pdg guidato da Yukio Hatoyama è ormai un pallido ricordo. Il 30 agosto 2009, dopo 54 anni, il Partito liberal-democratico (Pld) fu costretto a cedere il potere. I numeri della vittoria del Pdg furono clamorosi: 308 su 480 seggi in Camera bassa con una maggioranza del 42,4 per cento al proporzionale. Oggi il vantaggio si è più che dimezzato. I sondaggi danno infatti il Pdg appena al 17 per cento.
Dopo appena otto mesi dalla vittoria, Hatoyama si dimise in seguito a uno scandalo di finanziamenti illeciti che investì il numero due del suo partito, Ichiro Ozawa. Inoltre, un pasticcio sulle basi militari americane a Okinawa, che Hatoyama aveva promesso di spostare ma su cui non riuscì a raggiungere un accordo con Obama, fece emergere tutta l’inesperienza politica del partito di governo.
Dopo poco più di un anno dall’agosto 2009, il Pdg perse la maggioranza in Camera alta – indispensabile per l’attività legislativa – conquistata nel 2007. Toccò quindi a Naoto Kan, che di lì a poco dovette far fronte alla più grande emergenza nazionale dalla fine della seconda guerra mondiale: il Grande terremoto del Nordest del Giappone del marzo 2011 e il disastro nucleare di Fukushima.
Sfiduciato dal popolo e da alcuni uomini forti del suo stesso partito (Ozawa su tutti), Kan si dimise a settembre 2011. Al suo posto, venne eletto il suo vice ed ex ministro delle finanze, Yoshihiko Noda. Questi è recentemente diventato il primo ministro giapponese più longevo dal 2006, ma sotto di lui si contano ben tre diversi governi, a causa di continui rimpasti tra gennaio e ottobre di quest’anno.
A tre anni dalla vittoria elettorale, dunque, il Pdg si presenta alla vigilia delle elezioni spaccato e indebolito. Gli elettori giapponesi imputano a Noda e i suoi l’incapacità di esprimere una leadership convincente e di tirare fuori il Giappone dalla stagnazione economica.
Di più, il governo è di segno democratico, e perciò Noda è finito nel mirino degli elettori e delle potenti organizzazioni imprenditoriali, ha promosso una politica di austerità nel tentativo di porre un freno all’enorme debito pubblico giapponese (235 per cento).
In molti credono che il Pdg, partito formato principalmente da socialisti e dissidenti del Pld, avrebbe potuto fare meglio. In un recente editoriale il Tokyo Shimbun, quotidiano della capitale giapponese, sottolineava come nonostante alcuni progressi fatti nel triennio di governi del Pdg – in particolare nell’apertura delle informazioni istituzional i– le promesse di taglio alla spesa pubblica e riforme radicali al sistema del welfare sono rimaste “disattese”.
È difficile pensare che il voto del 16 dicembre in realtà possa dare una nuova scossa alla politica giapponese sempre più letargica e ancorata ai vecchi schemi del triangolo di ferro formato da politica, burocrazia e grandi gruppi industriali. Anzi, il rischio è che la situazione regredisca al pre-2009.
“Ci riprenderemo il Giappone,” proclama dai manifesti elettorali Shinzo Abe, leader del Partito Liberal-democratico. È lui il favorito alle elezioni del prossimo 16 dicembre e sa che gli elettori giapponesi puniranno gli errori del Pdg tornando docilmente all’ovile del Pld.
Abe, che fu già successore di Jun’ichiro Koizumi – ultimo capo di governo a riuscire a portare a termine un mandato quadriennale – si ripresenta oggi con toni da “salvatore della patria". Nel 2007 proprio lui aveva inaugurato la crisi del Pld – dopo di lui infatti si avvicendarono altri due primi ministri, Yasuo Fukuda e Taro Aso – dando via alla china discendente del fino ad allora primo partito giapponese.
La rivincita del Pld oggi è più vicina, ma i nodi da sciogliere restano ancora molti. Inannzitutto, quello delle alleanze. Al momento resta ferma l’alleanza con il Partito storicamente più fedele al Pld, il Nuovo Komeito (Partito del governo pulito), molto vicino alla setta buddhista della Sokagakkai. Tuttavia, se anche il Pld vincesse non avrebbe una maggioranza sufficientemente larga per governare tranquillamente.
Il panorama politico giapponese negli ultimi mesi si è infatti arricchito di nuovi soggetti politici, più o meno affidabili. Con una costante: il dominio di vecchi protagonisti. Due su tutti: l’ex segretario e fondatore del Pdg, Ichiro Ozawa, ora “eminenza grigia” del Partito del futuro (Mirai no to), e l’ex governatore di Tokyo, Shintaro Ishihara, leader del Partito della Restaurazione (Nippon Isshin no kai, PdR).
I due partiti che si giocano il posto di terzo e quarto partito nazionale sono nati negli ultimi mesi e già nell’occhio del ciclone per un conflitto di interessi che coinvolge sia Yukiko Kada, governatrice della prefettura di Shiga e presidente del Mirai, sia Toru Hashimoto, sindaco di Osaka e segretario esecutivo del PdR.
I due nel caso fossero eletti a un seggio in parlamento non hanno specificato se si dimetteranno dai loro precedenti incarichi, facendo infuriare i loro sostenitori locali.
Il secondo, soprattutto è finito sotto accusa perché nel suo connubio con Ishihara ha sacrificato alcune posizioni – come la fine del centralismo di Tokyo – che ne avevano fatto il “rottamatore” della politica tradizionale.
È prevedibile comunque che Ozawa rimanga in orbita riformista, insieme a Partito democratico e Partito socialista, e che Ishihara entri nel blocco conservatore. Questi è infatti visto come un alleato naturale di Abe nel prossimo governo di coalizione, in quanto favorevole a una riforma costituzionale che trasformi le forze di autodifesa giapponesi in un esercito nazionale regolare.
Entrambi inoltre non hanno mai celato posizioni nazionaliste e puntano ad una riscoperta dell’ “orgoglio nazionale perduto”.
La vittoria del Pld significherebbe un governo maggiormente assertivo in politica economica. Abe, per far uscire l’economia nazionale dalla recessione, ha già in mente un piano di spesa pubblica in infrastrutture e potenziamento del comparto difesa, finanziato da bond infrastrutturali.
Nella realizzazione del piano inciderà il ruolo della Banca centrale, la Bank of Japan (BoJ), che verrà cooptata dal governo nell’acquisto dei bond stessi. Un piano che potrebbe essere in qualche modo favorito dalla nomina ad aprile 2013 di un governatore più vicino alla probabile maggioranza del Pld.
Molti dalle opposizioni e dalla stessa BoJ hanno definito “pericoloso” e con riminiscenze del militarismo nipponico degli anni ’30 e ’40, La misura potrebbe essere comunque utile a mettere in circolo denaro e a far scendere il valore dello yen, la valuta nazionale nipponica, e favorire la ripresa dell’export.
Rimane infine il nodo del nucleare, al quale il Partito liberal-democratico, eccezione tra gli altri partiti, non intende per il momento rinunciare. “Cercheremo di realizzare la miglior combinazione possibile per l’approvvigionamento energetico entro i prossimi 10 anni” ha assicurato ultimamente il Pld. Il che non esclude mantenere il nucleare come prima fonte di approvvigionamento energetico. Di certo, su questo punto, il Pld non troverà l’appoggio della nazione.
Ad oggi infatti, la vox populi dice che il 90 per cento dei giapponesi è contro il nucleare. “Dall’incidente di Fukushima abbiamo imparato una cosa,” aveva dichiarato a luglio scorso Kenzaburo Oe, premio Nobel per la Letteratura nel ’94 e intellettuale di riferimento del movimento “no nuke” giapponese. “L’uomo non può più convivere con il nucleare.”
[Scritto per Lettera43; foto credit: asiasociety.org]
*Marco Zappa nasce a Torino nel 1988. Fa il liceo sopra un mercato rionale, si laurea, attraversa la Pianura padana e approda a Venezia, con la scusa della specialistica. Qui scopre le polpette di Renato e che la risposta ad ogni quesito sta "de là". Va e viene dal Giappone, ritorna in Italia e si ri-laurea. Fa infine rotta verso Pechino dove viene accolto da China Files. In futuro, vorrebbe lanciarsi nel giornalismo grafico.