Wukan, Wenzhou e Wen Jiabao. La Cina sembra essere definitivamente in mano all’ala riformista del Partito. Ma per fare piazza pulita della generazione di leader che ha governato negli ultimi vent’anni, bisogna riabilitare il movimento di piazza Tian’anmen. In una Cina che guarda al futuro nel segno della “doppia W” (Wukan e Wenzhou) anche la storia di Tian’anmen potrebbe essere riscritta.
Lo affermano diversi media di Hong Kong, leggendo tra le righe dell’ultima conferenza stampa che Wen Jiabao (la terza “W”) ha fatto all’Assemblea nazionale del popolo in qualità di primo ministro. Una sorta di testamento politico e di viatico per il futuro.
Il 13 marzo, Wen ha chiesto riforme politiche per evitare che si verifichi un’altra “rivoluzione culturale”, citazione-spauracchio per i ceti dirigenti cinesi e per buona parte della popolazione, in quanto sinonimo di caos.
Il giorno successivo, Bo Xilai, leader di Chongqing e tra i più importanti esponenti della sinistra, viene silurato.
Nei giorni successivi – registra il sito Shanghaiist – la censura delle parole chiave legate alle proteste di Tian’anmen è stata parzialmente sollevata per un breve periodo: alcune immagini dell’“incidente” sarebbero state addirittura disponibili su Baidu, il maggiore motore di ricerca cinese.
Nel frattempo – sempre secondo Shanghaiist – le “attività on line per ricordare Zhao Ziyang, un alto funzionario del partito licenziato e messo agli arresti domiciliari per la sua tolleranza nei confronti degli studenti che protestavano, sono state tacitamente consentite dalle autorità cinesi”.
Zhao Ziyang era di fatto il segretario del Partito comunista cinese, fautore di un approccio morbido verso il movimento di piazza Tian’anmen, poi rimosso da Deng Xiaoping e morto agli arresti domiciliari nel 2005.
La citazione della Rivoluzione culturale, con implicita esortazione a confrontarsi con quella storia, è di per sé sorprendente, nella Cina dei non detti. È da leggersi come una pubblica reprimenda del populista Bo Xilai, autonominatosi erede di Mao, che infatti è stato immediatamente fatto fuori.
Ma per gli “zhongnanhaiologi” – versione cinese dei “cremlinologi” ormai demodé – c’è molto di più: per accelerare le riforme, Wen sta cercando di fare piazza pulita di tutta la generazione di leader che ha governato la Cina negli ultimi vent’anni.
Per farlo, spinge verso una riabilitazione del movimento di piazza Tian’anmen, represso il 4 giugno 1989 da una decisione degli anziani del Partito e giudicato ufficialmente “una rivolta controrivoluzionaria”.
Tra quei falchi attempati c’era Bo Yibo, padre di Bo Xilai, uno degli “otto immortali” del Partito comunista cinese che negli anni Ottanta-Novanta governavano il Paese da dietro le quinte, aperto alle riforme verso il libero mercato ma tra i più decisi nel sollecitare Deng a inviare le truppe contro gli studenti. È morto nel 2007 a 99 anni.
La caduta del giovane Bo è anche la cancellazione della sua storia familiare e politica.
Tra gli eredi politici della repressione del 1989 c’è anche l’ex presidente Jiang Zemin, l’uomo che di fatto raccolse l’eredità di Deng e che prese il volo verso l’empireo della politica riempiendo il vuoto lasciato da Zhao Ziyang.
Sono i funzionari che hanno beneficiato del massacro di Piazza Tian’anmen.
D’altra parte, in una famosa foto che risale alla primavera del 1989, un giovane Wen Jiabao compare proprio in piazza Tian’anmen alle spalle di Zhao, mentre questi solidarizza con gli studenti e li avverte dell’imminente repressione, in quella che sarebbe stata la sua ultima apparizione pubblica.
Wen si smarca dalla storia che comincia il 4 giugno 1989. Wen vuole voltare pagina.
Pechino, giugno 2009: ricorre il ventennale del movimento e della sua repressione. Chi scrive si sente dire “perché rivangare Tian’anmen?”, da un amico locale.
“Non interessa a nessuno. Non interessa ai carnefici di allora, per ovvie ragioni, e neppure agli ex studenti. Nel 2022 saranno i nuovi leader del Paese. Perché giocarsi un futuro radioso per ritirare fuori questa storia? In questo senso, il movimento di piazza Tian’anmen ha già vinto”.
Chiedevano riforme. Le hanno avute. Chiedevano democrazia? “Hanno avuto pure quella”, insiste l’amico. Non è quella occidentale, ma oggi un cinese può arricchirsi, discutere di tutto, viaggiare, consumare.
Non può criticare le massime autorità dello Stato e del Partito e organizzarsi in un movimento politico, questo no. “Ma dopo tutto, va sempre meglio”.
Forse quell’amico si sbagliava. E la riscrittura di Tian’anmen permetterà alla Cina di voltare pagina.
[Scritto per E il mensile; Foto Credits: china.org.cn]* Gabriele Battaglia è fondamentalmente interessato a quattro cose: i viaggi, l’Oriente, la Rivoluzione e il Milan. Fare il reporter è il miglior modo per tenere insieme le prime tre, per la quarta si può sempre tornare a Milano ogni due settimane. Lavora nella redazione di Peace Reporter / E-il mensile finché lo sopportano.