L’ambiente come metafora di due filosofie al potere. Nel passaggio dalla leadership Hu/Wen a quella di Xi Jinping, l’imposizione hic et nunc della norma si è gradualmente sostituita a un sistema flessibile, che consentiva spesso di aggirare le regole o di renderle più digeribili all’intero sistema. Le implicazioni, tra sostenibilità, economia e diritto. Prima c’era la pentola a pressione, ora la pressione e basta. Così, forse, possiamo sintetizzare il cambio di filosofia dalla leadership di Hu Jintao e Wen Jiabao a quella di Xi Jinping. Forse si assiste a uno di quei periodici avvicendamenti storici tra governo dell’uomo – confuciano – e governo della norma, legista. In materia ambientale, le implicazioni riguardano la compatibilità tra ragioni dell’ambiente e ragioni dell’economia.
Ne parliamo con Björn Conrad, vicepresidente responsabile di questioni ambientali del Mercator Institute for China Studies (MERICS), uno dei maggiori think tank tedeschi che si occupano di Cina.
“Con Hu Jintao e Wen Jiabao si comprende che le questioni ambientali non sono più procrastinabili. Ma non solo: la leadership intuisce che una politica dell’ambiente può anche dare luogo a occasioni di business, in termini di nuovi mercati, produzioni, efficienza”, spiega Conrad. All’inizio degli anni Duemila arrivano così le prime regole ambientali ma, attenzione, è ben presente la consapevolezza che regole troppo rigide rischiano di danneggiare gli interessi economici. Come impedirlo?
Si sceglie così un approccio a “valvola di sicurezza”: lo stesso meccanismo per cui, se la pressione nella pentola sale troppo, si lascia fuoriuscire il vapore. Nello specifico cinese, la valvola consiste in un’applicazione soft della legge. Le politiche (regole) decise a Pechino fanno pressione sul sistema, ma un’esecuzione “selettiva” fa da valvola di decompressione, affinché la pressione non salga troppo. Quindi, se gli interessi economici non sono allineati, si permettono eccezioni, si chiude un occhio verso gli aggiramenti della norma e così via. Sono soprattutto i governi locali a essere lasciati liberi di interpretare le regole a modo loro.
L’industria delle tecnologie verdi è l’esempio in cui ambiente ed economia sono allineati. “Se all’inizio degli anni Duemila il settore era pressoché inesistente, oggi la Cina produce un terzo di tutte le turbine eoliche al mondo”. Il business e l’ambiente vanno a braccetto.
Ma quando si butta un occhio alle ciminiere che costellano qualsiasi paesaggio suburbano cinese o si considera il problema delle fabbriche ad alto tasso di emissioni nel sud dell’Hebei, ebbene, lì gli interessi economici e l’ambiente non vanno a braccetto. E dunque vince l’economia.
“In questo caso – spiega Conrad – gli interessi costituiti sono parte della storia, ma non tutta la storia”. C’è cura, da parte dello stesso potere centrale, di non creare eccessive pressioni sul sistema.
L’esempio più significativo è il ruolo rivestito dal ministero della Protezione Ambientale. Certo, anche negli anni di Hu Jintao diventa sempre più importante, “ma ha poche possibilità di perseguire veramente gli inquinatori. Le multe sono ridicole. E, cosa più importante, gli uffici di Protezione Ambientale sul territorio sono controllati dal governo locale, non dal ministero, cioè dagli interessi costituiti”.
Con l’arrivo della nuova leadership, nel 2012, la filosofia cambia: alla “valvola di sfogo” si sostituisce un approccio di stretta corrispondenza alle regole (“playing by the book”), a cui si accompagna un maggiore controllo centralizzato. L’esempio più clamoroso è la cancellazione del progetto Xiaonanhai, la diga da 32 miliardi di Rmb cominciata nel 2012 e fermata a marzo 2015 per “preoccupazioni ambientali”. Il ministero era contrario, il che rivela il nuovo status assunto dall’agenzia governativa.
Che la musica sia cambiata – secondo Conrad – lo rivela la nuova legge di protezione ambientale. La prima bozza, del 2012, era il tipico esempio di approccio “valvola di sicurezza”. Nel corso del processo di delibera è cambiata drasticamente: la versione del 2014 è tutta incentrata sul rispetto della legge e assegna maggiori poteri al ministero. La novità consiste nel fatto che un gruppo selezionato di Ong raccolte nella “Federazione cinese dell’ambiente” (Zhonghua huanbao lianhe hui), può avere voce in capitolo e fare causa agli inquinatori.
Questo aspetto è importantissimo: “Non esiste settore in Cina dove le Ong giochino un ruolo così importante come l’ambiente”, dice Conrad. “Il ruolo chiave che hanno acquisito con la legge di protezione ambientale rivela un cambiamento di alleanze”, rispetto al blocco politica-grande industria che ha contraddistinto la fase precedente. “La società civile è ora maggiormente coinvolta grazie alla spinta che arriva dal ministero della Protezione Ambientale, il quale si avvicina sempre più all’opinione pubblica. Da un punto di vista burocratico, è un cambiamento fondamentale”.
Questo approccio legalista (o “legista”, secondo tradizione cinese) della leadership di Xi Jinping non significa necessariamente che le ragioni dell’ambiente scalzeranno quelle economiche, ma cerca comunque di ridurre la distanza tra politiche decise a Pechino e loro messa in pratica.
Facciamo l’esempio dell’accordo sul clima siglato con gli Usa al summit Apec dello scorso novembre. È nero su bianco: una regola. Ma da parte cinese, si postpongono così le grandi ambizioni al 2030, quando in base all’accordo cominceranno a calare le emissioni. L’ipotesi che regge tutta l’impalcatura è che sia l’intera economia cinese a cambiare nel frattempo, di modo che anche l’accordo si realizzi quasi in automatico. La scommessa è tutta lì.
Per trasformarsi sistematicamente, la Cina si pone dunque degli obiettivi di lunga durata a livello politico, che poi sono articolati in obiettivi di medio termine a livello di policy interna e infine vengono tradotti a livello amministrativo, locale, in risultati specifici, quantitativi, da conseguire a scadenze definite. È a questo livello che, a oggi, continuano a verificarsi incongruenze date dal permanere dell’approccio a “valvola di sfogo”.
La campagna anticorruzione svolge quindi un ruolo fondamentale di pressione, perché fa capire a livello locale che la musica è cambiata. Ma il rischio di superare completamente il modello flessibile consiste nell’irrealizzabilità di norme troppo rigide. E quindi si ricorre talvolta all’espediente di mettere nero su bianco obiettivi volutamente modesti proprio per evitare il rischio di fallimento. Insomma, si sposta più in basso l’asticella.
In definitiva, un nuovo equilibrio che tenga insieme ambiente, economia e diritto non c’è ancora.