Suntech, il più grande produttore di pannelli fotovoltaici al mondo, fallisce: è la politica dei sussidi che si ritorce contro chi ne ha abusato. Ma i finanziamenti non finiranno, se mai cambieranno: c’è un’economia da riconvertire e un ambiente da salvare
All’orizzonte si profilano cause legali da parte dei creditori, tra cui spiccano la International Finance Corporation, agenzia del World Bank Group, e le banche di Stato cinesi.
All’origine del default, c’è il crollo del prezzo dei pannelli solari sul mercato internazionale. A partire da inizio 2012, la Suntech ha dichiarato quattro consecutivi trimestri di perdite. Oggi siamo alla resa dei conti, mentre l’azienda fa sapere di avere allo studio con i creditori alcune formule per la ristrutturazione del debito, nonché una strategia di lungo periodo.
Sarà, ma la vicenda appare comunque sia paradossale sia esemplare, perché proprio le imprese cinesi sono state più volte accusate dai concorrenti europei e statunitensi di ammazzare il business del solare, grazie ai generosi sussidi statali che hanno permesso loro di inondare i mercati con pannelli venduti a prezzi inferiori rispetto ai costi di produzione: dumping. Paradosso del paradosso, la stessa Europa ha contribuito al dumping, finanziando con i sussidi UE l’importazione dei "convenienti" pannelli cinesi.
Da parte sua, la Cina ha sostenuto le sue imprese con linee di credito da parte delle amministrazioni locali e delle agenzie di Stato. Secondo dati raccolti da Bloomberg, la China Development Bank avrebbe foraggiato con 43,2 miliardi di dollari colossi come la stessa Suntech, LDK, Trina Solar, Yingli Green Energy, Hanwha SolarOne e Jinko Solar.
Così, dopo anni di accuse nelle sedi internazionali, gli Usa hanno elevato l’anno scorso le proprie tariffe sull’importazione di pannelli cinesi. L’Unione Europea ha annunciato giusto la settimana scorsa di avere allo studio misure simili, rendendo anche noto che i pannelli made in China fagocitano ormai l’80 per cento del mercato comunitario (era pressoché lo zero nel 2004): conti alla mano, 21 miliardi di euro di importazioni nel solo 2011.
A livello globale, il 65 per cento della produzione di pannelli solari è ormai in mani cinesi.
Oggi, nel bel mezzo dell’abbuffata, il boccone va di traverso proprio a chi festeggiava.
Di fronte alla crisi del mercato, la Cina ha paradossalmente risposto risussidiando i propri player. LDK è stata salvata lo scorso luglio dall’autorità locale di Xinyu, nel Jiangxi, con uno stanziamento da 440 milioni di yuan (55 milioni di euro), anche Yingli e Trina sono state aiutate.
Suntech starebbe ora concordando un analogo sostegno finanziario con il governo di Wuxi, la città del Jiangsu dove ha il proprio quartier generale.
Tuttavia, Pechino sta riflettendo sul sistema nel suo complesso e il programma Jin Taiyang (“sole dorato”) è sotto esame.
In Cina, nell’ambito di una più generale campagna per rendere più efficiente il sistema economico, si critica il modo in cui i sussidi vengono erogati, non la loro stessa esistenza.
Meng Xiangan, vicepresidente della Renewable Energy Society di Pechino, ha dichiarato esplicitamente che “gli incentivi verranno offerti finché il costo di produzione di energia solare non sarà equivalente a quello degli impianti alimentati a carbone”.
Il problema è che attualmente i finanziamenti sono concessi “a pioggia”, senza un reale criterio che promuova l’efficienza. Prima ancora che i pannelli siano venduti o installati, soldi pubblici sono generosamente erogati alle imprese cinesi del solare, affinché abbiano vantaggi competitivi sui mercati internazionali.
Ma il tentativo in corso di trasformare l’economia cinese da export-oriented a focalizzata sul mercato domestico, implica un cambio di strategia.
La Cina vuole ora utilizzare sempre più il solare al proprio interno e la nuova fase del programma Jin Taiyang si propone di aggiungere quest’anno 6,2 gigawatt di potenza ai 6,5 già esistenti sul territorio. Se riuscisse, il Dragone scalzerebbe la Germania come primo mercato mondiale del fotovoltaico.
Oggi sono già attivi sussidi da 5,5 yuan (70 centesimi) per watt prodotto, vanno soprattutto alle grandi aziende. Gradualmente, saranno estesi ai produttori più piccoli.
Questo è un fatto indicativo: veicolare risorse dalle grandi imprese globali ai piccoli produttori locali, di modo che la diffusione del solare diventi capillare sul territorio, significa proprio che la Cina intende concentrarsi più sul mercato domestico che su quello internazionale.
L’operazione si inserisce nel più generale tentativo di costruire un’economia meno quantitativa e più qualitativa, tenendo anche d’occhio l’emergenza ambientale.
Ieri nella capitale venivano giù fiocchi di neve color marrone. Oggi, il noto cantante dell’opera di Pechino Mei Baojiu ha dichiarato che la sua voce sta deteriorandosi per colpa dello smog. Ha 78 anni, ma guai a dirgli che potrebbe trattarsi di cause naturali. Lui ha il raspino in gola da emissioni di carbone, disturbo che per altro lo accomuna allo scrivente.
Sì, per la salvezza di questo Paese e di chi lo abita, è forse meglio continuare con i sussidi al solare.