Dragonomics – Il pallone del Dragone

In by Simone

Le azioni delle imprese cinesi collegate al mondo del calcio stanno vivendo una dolce primavera, segno che il popolo dei piccoli investitori crede nella riforma del football. La strategia della leadership cinese è articolata e potrebbe arruolare anche un "Diavolo straniero sulla Via della Seta". A inizio maggio, Bloomberg ha rivelato che il piano del presidente Xi Jinping per fare della Cina una superpotenza calcistica ha già prodotto un primo effetto in borsa: nell’ultimo anno, circa 7.700 miliardi di dollari sono stati investiti nelle azioni di imprese collegate in qualche modo al pallone. Nove società quotate in borsa con legami nel campionato di calcio del Paese sono cresciute in media del 158 per cento da quando il governo ha lasciato intendere che vuole rilanciare uno sport afflitto da partite truccate e da una classifica che vede la nazionale cinese 82esima nel ranking FIFA.

La crescita dei valori azionari, che ha superato l’indice di riferimento di 42 punti percentuali, ha beneficiato imprese come Ledman Optoelectronic, che è il fornitore unico di diodi luminosi (LED) per la Chinese Super League (+336 per cento nell’ultimo anno), e Jiangsu Sainty Corp (import-export tessile), la cui controllante è proprietaria di un club calcistico (+128).
Shanghai International Port (trasporti e logistica), la cui squadra di calcio è attualmente prima in classifica, è cresciuta del 60 per cento, Leshi Internet Information & Technology, che ha l’esclusiva per trasmettere in Rete le partite, del 147.

Non si capisce ancora se il rally dei titoli calcistici sia gloria vera o passeggera, quello che invece si può comprendere da subito è che il pallone è il vero trend del momento, in Cina, dove a determinare i valori di mercato sono soprattutto i piccoli investitori, che rappresentano circa l’80 per cento dei movimenti di borsa (Shenzhen e Shanghai).
Per investire bene devi capire i segnali che vengono dalla politica”, ci aveva detto tempo fa una “gnoma” della borsa cinese, e il segnale che arriva in questo caso è la grande riforma del calcio varata a marzo.

In cosa consiste? Per diventare superpotenza pallonara al pari di europei e sudamericani, la Cina del (si dice) calciofilo Xi Jinping adotterà una strategia articolata.
Il primo punto riguarda la China Football Association, sconvolta negli ultimi anni da scandali quasi grotteschi. Da un lato, si sta cercando di snellirla, decimando i ranghi amministrativi al suo interno per de-burocratizzarla. Dall’altro, il governo proclama di volerla sottrarre dall’Amministrazione Generale dello Sport, cioè dal controllo politico, per evitare intromissioni e rendite di potere. La si tratta quindi come una qualsiasi SOE – grande impresa di Stato – passata al setaccio sia dell’anticorruzione, sia delle riforme di mercato.

Il secondo punto riguarda la formazione. Le scuole elementari e medie che inseriranno il calcio nei propri programmi passeranno dalle 5mila di oggi alle 20mila del 2020 e quindi alle 50mila del 2025. A finanziare tutto il sistema, ci penserà la lotteria nazionale, che dovrebbe anche permettere la creazione di due “Coverciano” cinesi, vere e proprie scuole calcio.
I primi effetti di questo “clima” sono già avvertiti da chi vive a Pechino e dintorni. Tao, un amico con cui lo scrivente gioca a pallone tutte le settimane, ha appena ottenuto il patentino da allenatore. È quindi immediatamente partito per una “vacanza studio” in Olanda, dove andrà in pellegrinaggio da diverse accademie del football. Tao investe su se stesso e ricorda dannatamente Arrigo Sacchi quando, da commerciante di scarpe spedito in trasferta all’estero, assisteva agli allenamenti dell’Ajax incollato alla rete di recinzione del centro sportivo.

Il terzo punto riguarda infine l’espansione nel mondo calcistico internazionale. Diversi tycoon cinesi hanno già investito nel calcio europeo, ma è il capitolo Italia che sta ora per aprirsi.
La strategia è simile a quella adottata l’anno scorso per il Pavia Calcio, ma adesso si passa a un livello molto, ma molto, più alto. Non è necessario essere affezionati lettori di quotidiani sportivi italiani di color rosa per avere subodorato che diversi intermediari cinesi – e non necessariamente quelli indicati dal suddetto quotidiano – stanno bazzicando attorno a “un grande club italiano” che è da tempo alla ricerca di nuove risorse per sfuggire a una miserabile decadenza, analoga a quella economica (e psicofisica) del suo proprietario.
Il Milan sarebbe non solo la ciliegina sulla torta in termini di immagine, ma il perno su cui fare leva per trasferire “tecnologia calcistica” dall’Europa alla Cina: non ci si riferisce qui all’opinabile Milan Lab – il dispositivo medico-sportivo che ha seminato cadaveri a Milanello – ma a tecnica, tattica, metodi d’allenamento, gestione manageriale.
“Foreign Devils on The Silk Road” è il titolo di un famoso libro di Peter Hopkirk. Ora, forse, sarà tradotto alla lettera. A patto – si intende – che l’attuale padrone del club rossonero non faccia scappare i cinesi chiacchierando troppo e troppo presto.

Questa strategia articolata richiede tempo. La Cina ha rinunciato a candidarsi per organizzare i mondiali del 2018, proprio per evitare figuracce in casa, ma punterebbe decisamente a quelli del 2026, quando la grande riforma dovrebbe aver dato i suoi primi frutti.
Intanto, gli gnomi di Shanghai e Shenzhen si portano avanti e investono nelle azioni pallonare. Perché il segnale politico, quello sì, è già arrivato.