Dragonomics – Porte che si aprono, porte che si chiudono

In by Simone

Che il baricentro economico del mondo si stia spostando, non lo dimostra solo l’attivismo dei Brics, le cinque maggiori economie emergenti, ma anche la nuova voglia di protagonismo di realtà un tempo considerate “minori”: un volo ad angelo dalla Mongolia a Timor Est. Proviamo a osservare il fenomeno dalla prospettiva asiatica: dal continente, cioè, indicato come il maggiore candidato a raccogliere lo scettro dell’Occidente Atlantico (o quanto meno a condividerne il trono).

Partiamo proprio dai Brics, che a marzo si sono riuniti in Sudafrica, a Durban, per il loro summit.
Tutti i media angloamericani si sono affrettati a specificare che dopo l’incontro il bicchiere è mezzo vuoto, il che ci fa immediatamente supporre che sia invece mezzo pieno. Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica hanno infatti gettato le basi per la costituzione di una “Banca dello sviluppo” alternativa alla Banca Mondiale e approvato da subito un fondo anticrisi da 100 miliardi per le emergenze, mentre al tempo stesso Cina e Brasile hanno sottoscritto un accordo bilaterale per commerciare nelle proprie valute (leggi “fare a meno del dollaro”).

Certo – si dice – la fantomatica banca non si vede ancora. I cinque Paesi hanno discusso il suo finanziamento sulla base di 50 miliardi di dollari in capitale, ma non c’è stato alcun accordo sul fatto che debbano sborsare in egual misura – 10 miliardi di dollari ciascuno – o se invece i contributi debbano riflettere le differenze di prodotto interno lordo. C’è anche di mezzo la questione delle cariche interne al nuovo istituto finanziario, e su come e a chi sarà prestato il denaro: quali società, cioè, beneficeranno della sua generosità. Anche sulla scelta della futura sede dell’istituto siamo ancora in alto mare.

Tuttavia la volontà politica dei cinque appare ferrea: un giorno sì e l’altro pure, i rispettivi leader esprimono (in forme diverse) il desiderio di fare del proprio club il nocciolo duro di un mondo multipolare, non più ancorato al sistema di Bretton Woods, al Fondo Monetario Internazionale e alla Banca Mondiale.
Più concretamente, gli scambi all’interno del gruppo sono cresciuti di oltre dieci volte in dieci anni (dai 27 miliardi di dollari del 2002 ai 282 del 2012) e il totale degli investimenti diretti in altri Paesi ha raggiunto 263 miliardi dollari lo scorso anno, pari al 20 per cento dei flussi globali di investimenti diretti. Era il 6 per cento nel 2000.
Quanto alla “banca dello sviluppo”, voluta soprattutto da India e Brasile, fino a un anno fa non esisteva neanche nelle migliori intenzioni. Oggi è un progetto.

Ancora più significativo è il parere di Jim O’Neill, il presidente di Goldman Sachs Asset Management che nel 2001 coniò il termine “Bric” (senza Sudafrica, che entrò nel club in una seconda fase). Secondo lui, le cinque economie “hanno superato tutte le aspettative. In poco più di un decennio il Pil del gruppo è passata da circa 3mila miliardi di dollari a 13mila miliardi. I Bric hanno il potenziale per evitare una recessione globale e per crescere più velocemente del resto del mondo e, facendo da motore della crescita, possono trascinare con sé tutti noi”.

Intanto, mentre i Brics discutevano, era già in corso da tempo un conflitto tra Mongolia e il maggiore gruppo minerario del mondo, Rio Tinto. Il presidente Tsakhiagiin Elbegdorj aveva infatti revocato alla multinazionale le licenze di estrazione in una sezione chiave dell’enorme giacimento di Oyu Tolgoj (oro e rame) che, da solo, dovrebbe produrre un terzo del Pil mongolo. Lo Stato desidera ritagliarsi una fetta maggiore della società che sfrutta la miniera, modificando i termini dell’accordo Rio Tinto, che ha ora una quota del 64 per cento nel pacchetto azionario.

Il braccio di ferro tra il Paese che, grazie alle sue risorse naturali, è giudicato da molti analisti la Tigre asiatica del futuro, e una società simbolo del capitalismo globalizzato, rivela che l’Asia orientale non è un terreno di conquista così scontato.

Nuovi disegni di legge e prese di posizione dei governi sembrano infatti rendere il contesto economico meno favorevole alle multinazionali occidentali.
A seconda dei punti di vista, il fenomeno viene definito “nazionalismo antiglobalizzazione”, “protezionismo” o semplice diritto a riprendere il controllo dei propri destini.

Per capire meglio quanto spirito patriottico e ragioni economiche siano intrecciati, ci trasferiamo dalla Mongolia in Indonesia, dove il governo starebbe varando un disegno di legge che limiterebbe l’accesso delle multinazionali statunitensi ed europee al mercato interno.
Dietro l’intera vicenda c’è il clan dei Bakrie, che il mese scorso ha messo in minoranza la cordata guidata dal britannico Nathaniel Rotschild per il controllo della Bumi, la compagnia mineraria co-fondata nel 2010 e quotata alla borsa di Londra. Aburizal Bakrie, il patriarca di famiglia, è anche candidato alle elezioni presidenziali del 2014.
Si dice che la leva nazionalista abbia giocato un notevole ruolo nel convincere gli azionisti a bocciare il riassetto societario proposto da Rotschild e, a questo punto, Bakrie incassa anche una vittoria politica in vista delle elezioni.

Certo, mentre alcuni mercati si chiudono o sembrano chiudersi, altri si aprono, in una generale ridefinizione dello scenario d’Oriente.
Se per esempio dall’Indonesia ci si sposta di poco, si arriva Timor Est, Paese attualmente a caccia di maggiori investimenti stranieri con due progetti: un nuovo porto e l’espansione di un aeroporto. I capitali saranno pubblici-privati e a sovrintendere l’intera operazione ci sarà l’IFC, un’agenzia della Banca Mondiale.
Intanto, Unione Europea e Thailandia stanno progettando un’area di libero scambio che incrementerebbe la quota di investimenti europei nel Paese asiatico, oggi già a 14 miliardi di euro.

Mongolia, Indonesia, Timor Est e Thailandia sono esempi di un’Asia Orientale in continua ridefinizione: porte che si aprono e porte che si chiudono sulla base di un rapporto che appare sempre più alla pari con l’Occidente, da protagonisti. E poi c’è la Cina, locomotiva dei Brics.