Più indennizzi per le requisizioni dei terreni agricoli. Si punta a un utilizzo più efficiente della terra, a frenare la bolla immobiliare e a una maggiore uguaglianza.
Un paragone basterebbe a spiegare tante cose: nelle campagne cinesi, un metro quadro di terra coltivata, vale attualmente meno di 100 yuan (tra i 10 e i 12 euro); a Pechino e Shanghai, un metro quadro di terra edificabile vale invece tra i 33mila e i 36mila yuan (tra i 4mila e i 4.500 euro).
La prima cifra corrisponde a quanto vengono rimborsati i contadini espropriati dei propri appezzamenti; la seconda, alle ultime valutazioni (della settimana scorsa) relative al mercato immobiliare nelle due grandi metropoli.
Certo, la Cina rurale non è Pechino o Shanghai; ed è ovvio che nelle città di seconda e terza fascia, così come nei nuovi insediamenti costruiti al posto di campi e orti, trasformare un terreno agricolo in una casa non consente certo di guadagnarci più di trecento volte. Ma anche se i terreni si rivalutassero della metà, il business sarebbe comunque estremamente appetibile.
Bolla immobiliare
Questo è il motivo per cui le amministrazioni locali e i singoli funzionari, spesso alla ricerca di profitti personali, espropriano la popolazione rurale e si lanciano in continui progetti immobiliari. Una bolla che ormai si autoalimenta, visto che a prescindere dall’effettiva domanda di abitazioni, i cinesi continuano a investire nel mattone.
Il motivo è semplice: con interessi bancari tenuti bassi per scelta politica e inferiori all’inflazione; con poche altre possibilità di investire i propri risparmi; con la necessità di garantirsi una vecchiaia serena e cure mediche efficienti facendo affidamento solo sulle proprie forze (il welfare è ancora insufficiente), i cinesi mettono i propri soldi nel settore che, unico, garantisca profitti certi. Almeno finché la bolla non scoppia.
Proprietà e produttività
L’esproprio del resto è facile, visto che la terra resta di proprietà dello Stato e non di chi la coltiva. La decollettivizzazione dei terreni dei villaggi risale al 1983. Da allora, si è sviluppato un sistema ibrido in base al quale la proprietà formale degli appezzamenti è del villaggio (cioè del governo locale), mentre i diritti di sfruttamento sono delle famiglie. I terreni vengono riassegnati ogni tre-cinque anni dai funzionari locali. In teoria la redistribuzione periodica servirebbe a far coincidere l’utilizzo dei terreni con criteri di efficienza produttiva e con i cambiamenti della composizione familiare: se un nucleo passa da cinque a tre componenti, gli verrà assegnata meno terra e viceversa.
In realtà, i funzionari tendono a valorizzare il più possibile il bene-terra, anche perché la loro carriera dipende dalla crescita del Pil nella zona di loro competenza: togli al contadino e dai al palazzinaro. Si stima che tra il 40 e il 70 per cento delle entrate dei governi locali dipenda dalla vendita di terreni ai cosiddetti developer.
Gli indennizzi sono del resto bassi perché calcolati sui beni di proprietà del contadino che verranno persi con la requisizione (la casa, eventuali attrezzi agricoli) e non sul suo diritto di utilizzo della terra né, tanto meno, sulla produttività del terreno stesso.
Di conseguenza, i contadini non sono incentivati ad investire eccessivamente nell’ammodernamento delle proprie tecnologie. Così, restano tra i meno produttivi del pianeta. Secondo Michael Spencer, analista della Deutsche Bank, un contadino sudcoreano è quaranta volte più produttivo di uno cinese.
Land-swaps
Per proteggere la propria agricoltura (cioè la propria indipendenza alimentare), le autorità di Pechino avevano stabilito che il totale della terra destinata ai raccolti non dovesse scendere sotto 1,8 miliardi di mu. Il mu è un’unità di misura cinese che corrisponde a un “satanico” 666,66 metri quadrati (o 0,066 ettari, se si preferisce).
Fatta la legge, scoperto l’inganno. Dato che le quote di terra da destinare all’agricoltura sono stabilite a livello di giurisdizione, per aumentare il terreno edificabile ai danni di quello agricolo, le autorità locali utilizzano il cosiddetto sistema dei land-swaps. In pratica, demoliscono interi villaggi (di case a un piano) lontano dalla città capoluogo, collocando gli abitanti in nuovi grattacieli da trenta piani. Così aumentano la densità per unità di superficie e, di conseguenza, la quota di terreni agricoli della propria giurisdizione: creano un “credito” o “terreno in eccesso”. A questo punto, senza scendere sotto la quota stabilita per legge, si può tranquillamente espropriare terre contadine nei pressi della città e destinarle allo sviluppo immobiliare: “In questo modo – scrive l’economista Michele Geraci su China Daily – l’area complessiva dei campi rimane invariata, ma la città spinge la campagna sempre più lontano.
Il problema dell’urbanizzazione
Così ha funzionato finora, ma il problema si è fatto ormai ineludibile: non solo perché si moltiplicano le rivolte nelle aree rurali (si calcola che le requisizioni di terreni agricoli provochino ormai il 65 per cento dei circa 180mila “incidenti” che avvengono in Cina ogni anno), cosa che a sua volta destabilizza il potere del Partito comunista; ma anche perché di fronte all’aumento della popolazione urbana (691 milioni l’anno scorso, cioè, per la prima volta nella storia, il 51 per cento della popolazione), la Cina si trova improvvisamente con un’agricoltura troppo poco produttiva e non ha abbastanza alimenti da servire in tavola.
Molti analisti sostengono che il Paese sia vicino al “punto di svolta di Lewis”, cioè il momento in cui il trasferimento di forza lavoro dall’agricoltura all’industria non comporta più incrementi di produttività.
La nuova norma sulle requisizioni
Ed ecco quindi l’emendamento che dovrebbe riformare del tutto il sistema delle requisizioni.
Come spesso accade, i suoi contorni sono ancora poco chiari, ma una cosa sembra certa: l’indennizzo minimo per i contadini aumenterà di almeno dieci volte. Il che dovrebbe ottenere due scopi.
Primo. Disincentivare i funzionari locali che oggi fanno affidamento sulla vendita di terreni ai palazzinari per rilanciare il Pil e arricchirsi personalmente. Così, non ci sarebbe la corsa a trasformare i terreni in cemento e si potrebbe invece destinarli a un’agricoltura più produttiva, più capace cioè di sfamare il Paese.
Secondo. Consentire ai contadini espropriati (e scaraventati sul mercato senza un welfare decente) una maggiore autonomia. Una specie di “tfr secondo caratteristiche cinesi”: non hai più un lavoro, ma un gruzzolo sufficiente per trasferirti in città, aprire un negozietto, comprarti una casa, iscrivere i tuoi figli a scuola.
Il nuovo emendamento è atteso alla prova dei fatti. Non è escluso infatti che si traduca nel suo contrario: un incentivo dato ai contadini per cedere agli speculatori, con un conseguente ulteriore aumento vertiginoso dei prezzi immobiliari. Del resto Li Keqiang, premier in pectore, continua a battere sul tasto dell’urbanizzazione come strumento per dare nuova crescita al Dragone. In tal caso, è difficile che la lotta alla corruzione dei funzionari locali basti per arginare il fenomeno, perché il problema diventerà sempre più strutturale.