Donne migranti

In by Simone

Nel mondo odierno della società globale, migrazione e urbanizzazione sono due delle principali tematiche che più attirano l’attenzione di analisti e studiosi di paesi diversi e discipline tra le più disparate.
Se è  vero che le dimensioni (e i numeri) contano, allora questi fenomeni destano maggiore preoccupazione proprio in Cina, dove un esercito di ormai 250 milioni di persone è in costantemente in moto da un capo all’altro del paese. E dove la fuga dalle campagne preoccupa sempre più le autorità locali.
Studi di genere in tema di migrazione in Cina si hanno a partire dai primi anni ottanta, quando le riforme denghiane diedero inizio ad un sempre più vasto fenomeno di migrazione maschile dalle zone rurali (e successiva “femminizzazione delle campagne”) da una parte e successivamente anche la creazione di lavori specializzati per il gentil sesso (badanti, donne delle pulizie, prostitute) dall’altra. Gli anni novanta hanno visto una migrazione di massa di uomini e donne (giovani e giovanissimi) verso le aree che più si sviluppavano velocemente all’interno del paese (e che più richiedevano manodopera a basso costo): la provincia del Guangdong, l’area metropolitana di Shanghai e le zone attorno alla baia di Bohai nel nord.    

Da un punto di vista di genere, è necessario fare delle distinzioni tra le migranti cinesi e i loro colleghi maschi. A cominciare dai motivi della fuga dalle campagne per esempio. Se per i ragazzi è quasi sempre una ricerca di migliori (e più vantaggiose) opportunità di lavoro, per le ragazze non si limita assolutamente a questo: spesso è un desiderio di autonomia ed emancipazione personale, una ribellione a quel “patriarcato feudale” tutt’altro che debellato da trent’anni di maoismo. Con o senza il permesso dei genitori, sono molte le giovani che lasciano le zone rurali per evitare un matrimonio combinato o uno stile di vita già deciso da una millenaria tradizione che le vuole a casa ad accudire figli e genitori dello sposo.  

Il termine più usato per riferirsi a queste ragazze è dagongmei, dove dagong sta per “lavorare sotto padrone” o “vendere il proprio lavoro”, mentre mei significa “sorella minore” e indica sia la loro giovane età che il loro stato di nubilato. Dagongmei è un termine cantonese venuto da Hong Kong e risale ai primi anni ottanta. Sebbene il boom delle migrazioni interne si sia avuto durante tutti gli anni novanta, questa parola si usa ancora per riferirsi alla giovani lavoratrici migranti.  
Nelle città  però questo termine assume anche una connotazione negativa, perché viene spesso associato a idee quali “lavoratrice priva di qualità”, “incapace”, “incivile”, “ignorante”. Non a caso le giovani ragazze di campagna (così come i loro colleghi maschi) sono state e sono tuttora vittime di pregiudizio e discriminazione per la loro provenienza e il basso status sociale.  

Spesso le città non si presentano infatti come la tanta sperata ancora di salvezza. La vita che un lavoro nelle zone urbane riserba loro si rivela molto più dura che quella nel villaggio natio. Alle giovani ragazze tra i sedici e i vent’anni, con nessuna esperienza professionale alle spalle, bassa educazione e un titolo di studio che arriva sì e no a quello liceale, le possibilità di lavoro si riducono quasi sempre alla manovalanza nelle fasce più basse della catena di montaggio o al servizio in ristoranti, hotel o case private. E poi c’è sempre la prostituzione. Ma anche qui, tra gli strati più bassi, ovvero nei bordelli clandestini per lavoratori migranti.

E i casi (che in Cina vengono definiti “incidenti”) come quello di Deng Xiaoyu o quello di Yan Deli riempiono i blog degli internauti e fanno il pieno di commenti tra l’opinione pubblica. Cameriera la prima, prostituta la seconda. Nella provincia dello Hubei Deng Xiaoyu uccise accidentalmente il suo padrone lo scorso maggio, stanca delle continue e violente avance sessuali. Arrestata e processata, venne rilasciata poco dopo (anche e soprattutto per la forte pressione che veniva dalla rete) perché ritenuta aver agito per legittima difesa.

Yan Deli, classe 1976, giovane cinese dalla campagna fuori Pechino, pubblica nel suo blog duecento numeri di cellulare dei suoi clienti, confessando la sua professione di prostituta e lasciando un messaggio poco simpatico: “Ho l’AIDS”. La polizia indagò poi sul caso, venendo a scoprire che tutto lo scandalo era solo una montatura dell’ex fidanzato della ragazza, ferito sentimentalmente.
Realtà o finzione, storie di ragazze migranti, a volte dal tragico fine, si moltiplicano giorno per giorno e affollano le pagine web della rete cinese. La buona notizia è che si moltiplicano anche le organizzazioni (governative o meno) e i centri di assistenza e aiuto alla giovane migrazione al femminile. Si punta soprattutto a creare un ambiente “amico e familiare”, difficile da trovare nel caotico via vai di metropoli come Pechino, Shanghai, Chongqing o Canton. E poi di fornire aiuti pratici, quale quello sanitario, nonché assistenza legale contro abusi e violenze.  
Le ragioni per le quali ancora moltissimi giovani, maschi o femmine che siano, lasciano le zone rurali è legata ad una condizione di disagio e mancanza di opportunità di lavoro e sviluppo. Più che “dura” o “povera” la vita di campagna per loro risulta “noiosa” e “priva di interesse”. Diversa insomma da quella di quarant’anni fa, quando i giovani studenti delle città venivano mandati in campagna a “imparare dai contadini”. A dare un’immagine decadente e miserabile delle zone rurali grande responsabilità hanno, sin dagli anni ottanta, i media cinesi.

Riuscirà  il Partito Comunista a fermare l’ondata migratoria e riorganizzare la vita e l’economia delle campagne? Di certo di tentativi in corso ce ne sono molti. Basti pensare al Xibu Da Kaifa (letteralmente “Grande sviluppo dell’ovest”), un piano iniziato a partire dal 2000 con grossi investimenti per la ristrutturazione delle zone occidentali del paese, non a caso quelle più povere sia economicamente che demograficamente. E soprattutto il Xinjianxiang, ovvero la “Nuova ricostruzione rurale”, un programma lanciato nel 2003 da accademici e organizzazioni non governative (supportate finanziariamente dal governo) che tenta di frenare il processo di dissoluzione nelle campagne. È infatti proprio su questo che il governo cinese si giocherà la sua partita più importante: quella del contrasto al fenomeno sempre più preoccupante dell’urbanizzazione e la creazione di una “nuova” civiltà contadina, quale quella cinese è da sempre per antonomasia.

[Foto Laia Gordi i Vila]