Django è di nuovo incatenato. Dalla censura

In by Gabriele Battaglia

Stroncato alla nascita. Il debutto nelle sale cinesi di Django Unchained, il film di Quentin Tarantino, è stato cancellato ieri all’ultimo momento. “Problemi tecnici”, recitano laconicamente in coro gli esercenti locali, il che significa che qualcosa non è piaciuto alla censura. L’ordine di interrompere le proiezioni sarebbe arrivato alle 10 di mattina, ora locale. Secondo le voci che si rincorrono sia nel mondo reale sia nella Rete cinese, sul banco degli accusati ci sarebbero le scene eccessivamente splatter e una di nudo con protagonista lo stesso Django, l’attore americano Jamie Foxx.

Tuttavia, Zhang Miao, presidente della filiale cinese di Sony Pictures ha dichiarato che il film era già stato rimaneggiato e che Quentin Tarantino era stato parte attiva della “ripulitura”.

Ciò che noi chiamiamo spargimento di sangue e violenza non è che un mezzo funzionale agli obiettivi del film, e questi lievi aggiustamenti – come il ritocco del colore del sangue in un tono leggermente più scuro, o la resa degli spargimenti di sangue un po’ meno splatter – non influiscono sulla qualità fondamentale dell’opera”, ha dichiarato Zhang al Southern Metropolis Daily. “Quentin sa bene come fare gli aggiustamenti ed è necessario che sia lui l’unico a farlo. Puoi dargli suggerimenti, ma a farlo deve essere lui”. Evidentemente “Quentin” non ne ha fatti abbastanza.

Il South China Morning Post riporta la testimonianza di un esercente di Kunming – tale Tian Zaixing – che dice di non riuscire a ricordare un altro film d’importazione bloccato al debutto.

In un cinema di Sanlitun – il quartiere di Pechino votato a shopping e divertimento compulsivi – il film è stato proiettato per alcuni minuti prima di essere interrotto, secondo quanto ha scritto sul microblog Weibo un furente spettatore reduce dalla beffa: “Il personale è venuto e ha detto … che avevano telefonato per dire che doveva essere rinviato!! Qualcuno può dirmi cosa sta succedendo!”, scrive con enfasi l’utente che si firma Xue Yi Dao.

I dettagli che emergono pian piano gettano un’ombra sull’operato delle due agenzie che coordinano le politiche culturali (e censorie) di Pechino: la State Administration of Radio, Film, and Television (SARFT) e la General Administration of Press, Publication, Radio, Film and Television (GAPPRFT), scaturita da un rimpasto di ministeri effettuato dal governo il mese scorso e che, secondo le intenzioni, dovrebbe gestire più efficientemente le politiche culturali di Pechino.

Le mani a forbice dei censori sono più feroci di quelle del proprietario di schiavi che vuole rendere Django un eunuco”, scrive un microblogger. Il che, oltre farci sorridere per la brillante citazione del film stesso, ci rivela che Django circola ormai da settimane in versione pirata, come del resto succede a tutti i blockbuster hollywoodiani in Cina.

Sui retroscena, in Rete si fanno le più diverse ipotesi. Robert Cain, produttore e consulente per l’industria dello spettacolo che lavora in Cina dagli anni Ottanta, cita “un amico”, secondo cui “l’improvviso blocco di Django Unchained ha molto a che fare con l’opposizione della SARFT alla creazione di un sistema di rating” che renda la censura più trasparente, “tema sempre delicato e scomodo per loro”. La mancanza di vere e proprie regole scritte sull’attività delle agenzie di Stato rende infatti il loro potere arbitrario, conserva la loro nicchia di potere. La SARFT potrebbe aver voluto lanciare un messaggio per interposto Django: “Decidiamo noi”.

Tuttavia, “qualunque sia stata la loro intenzione, ha fallito completamente – commenta su Weibo “Polylove2, un altro utente – la discussione sulla censura di Django Unchained ha suscitato ancora più l’attenzione [sul problema delle regole trasparenti] da parte della gente”.

Commenta negativamente l’accaduto anche Hu Xijin, caporedattore del Global Times, giornale di proprietà del Quotidiano del Popolo: “Il danno causato alla politica nazionale dalla scelta [di sospendere all’improvviso le proiezioni del film] sarà molto più grande di quanto avrebbero potuto provocare alcune ‘scene pericolose‘” – scrive Hu sulla sua pagina Weibo – aggiungendo che alcune autorità compiono spesso scelte discutibili, di cui la credibilità del governo farà le spese.

[Scritto per Lettera43; foto credits: wired.com]