Dall’inizio dell’anno, seppur alla spicciolata, arrivano notizie molto preoccupanti provenienti dal Chhattisgarh, stato federato indiano ai confini dello stato di diritto. Teatro di violenze atroci perpetrate contro la popolazione tribale da guerriglieri maoisti e apparati paramilitari, in Chhattsgarh ancora oggi il potere della legge è sostituito da punizioni sommarie, razzìe, minacce e violenze di gruppo contro chi cerca di denunciare la sistematica violazine dei diritti umani degli «adivasi» (i tribali indiani).Tutti presi dallo snocciolamento di dati e auspici altisonanti per la nuova India del terzo millennio, i media indiani di rado riescono a trovare spazio per raccontare gli orrori quotidiani che si consumano nell’India rurale, dove la «rule of law» fatica a imporsi sulle violenze selvagge che da anni caratterizzano in particolare il Chhattisgarh.
Eserciti non regolari e violazioni dei diritti umani
Lo stato, una delle «nove sorelle maoiste», nel passato recente è stato al centro dello scontro tra le milizie maoiste naxalite e i reparti di sicurezza del governo indiano, mandati a sedare l’insurrezione con metodi poco ortodossi.
In particolare, il Chhattisgarh ha vissuto l’azione repressiva del Salwa Judum, un esercito non regolare (ma sostenuto dal governo locale) attivo per anni nelle campagne a caccia di naxaliti o collaborazionisti (veri o presunti).
A seguito di pressioni della stampa e dei gruppi per la difesa dei diritti umani (compresa Amnesty), la Corte suprema indiana nel 2011 ha ordinato il disarmo di tutte le organizzazioni dei cosiddetti «Special police officers» (Spo), in gran parte ragazzi poco più che vent’enni reclutati nelle campagne e spediti nella guerriglia dopo poche settimane di addestramento sommario.
In un’inchiesta del mensile di giornalismo investigativo Tehelka, riguardo ai metodi di reclutamento degli Spo da parte di «contractor» finanziati dal governo, si legge: «[…] irrompevano nei villaggi, bruciavano case e persone. I Naxaliti bruciavano quel che ne era rimasto. Poi ci hanno messo nei campi di rifugio e ci hanno ‘chiesto’ di unirci alle truppe».
Dal 2011 ad oggi, le forze di sicurezza governative regolari (polizia ed esercito) hanno continuato l’offensiva contro i miliziani maoisti, pesantemente decimati anche in virtù del regime di terrore in vigore nei vari distretti del Chhattisgarh, dove solo essere sospettati di collaborazionismo coi naxaliti può significare arresti senza mandato, torture e morte. Come «danni collaterali», la popolazione tribale dell’area vede sistematicamente negati i propri diritti umani, diventando bersaglio preferito dalle forze dell’ordine per seminare terrore, disincentivare le denunce di soprusi o, tragicamente, come semplice divertimento.
Un clima di terrore di cui il mondo viene a conoscenza grazie al lavoro di giornalisti e attivisti impegnati nella denuncia dei soprusi da parte degli organi di polizia. Una denuncia che però, in India, si paga caro.
Giornalisti e attivisti nel mirino della repressione di stato
La giornalista del magazine online Scroll.in Malini Subramaniam, ad esempio, ne ha fatto le spese la scorsa settimana, quando un gruppo di uomini si è radunato intorno alla sua abitazione nel distretto di Bastar, in Chhattisgarh, sfondando finestre e vetri della sua auto mentre urlavano slogan minacciandola di morte. La sua colpa: aver denunciato su Scroll.in la serie di violenze sessuali ai danni di donne tribali, le torture subìte da giornalisti e le violenze della polizia ai danni della popolazione locale.
Stesso discorso per Soni Sori (nella foto in alto), nota attivista tribale del Chhattisgarh divenuta simbolo della violenza di stato contro le donne adivasi. Arrestata nel 2011 e accusata di cospirazione e collaborazionismo con la causa naxalita, Sori è stata detenuta nelle carceri del Chhattisgarh (Raipur e Jagdalpur) per tre anni. Durante la detenzione, Sori ha denunciato di aver subìto torture e violenze sessuali perpetrate dagli organi di polizia locali.
Liberata su cauzione nel 2014, Sori ha continuato la propria attività di denuncia all’interno dell’Aam Admi Party (Aap, il «partito dell’uomo comune» di Arvind Kejriwal, al governo locale a New Delhi), aiutando decine di donne adivasi a far emergere le proprie storie di stupro di stato (per stomaci forti, qui un lungo articolo dettagliato comparso sul magazine Open) e fornendo consulenza di carattere legale.
Sabato scorso un gruppo di uomini l’ha assalita poco distante dalla sua abitazione nel distretto di Bastar, gettandole addosso un mix – sconosciuto – di olio e acido. Dopo un giorno di degenza nell’ospedale di Raipur – cordonato dalla polizia locale, che ha vietato l’accesso a chiunque, compresi i compagni di partito di Aap – lunedì è stata trasferita a New Delhi. I medici non sono ancora riusciti a capire che tipo di sostanza sia contenuta nel mix di acido; il viso di Sori è gonfio e nero e per il dolore l’attivista non è ancora riuscita a riaprire gli occhi.
In un’intervista rilasciata al quotidiano The Hindu, Sori ha espresso timore per la sorte della propria famiglia, che potrebbe essere il prossimo obiettivo degli «sconosciuti» che l’hanno attaccata.
Le storie di Subramaniam e Sori hanno un filo conduttore: entrambe hanno denunciato l’azione della polizia locale, guidata dall’ispettore genrale SRP Kalluri, che secondo il mensile Caravan starebbe sostenendo la creazione di una nuova sigla paramilitare spacciata per «associazione di volontari», l’Ekta Manch.
Tra i fondatori e sostenitori di Ekta Manch figurano i principali leader politici locali del Bharatiya Janata Party (Bjp) e dell’Indian National Congress (Inc).
Larghe intese contro i tribali ai confini della Shining India.
[Scritto per Eastonline]