La Cina affronta l’inverno demografico: dopo circa tre decenni di politica del figlio unico, Pechino punta su sussidi, assistenza all’infanzia e incentivi per invertire il calo delle nascite. Dialoghi: Confucio e China Files” è una rubrica in collaborazione tra China Files e l’Istituto Confucio dell’Università degli Studi di Milano. Qui per le altre puntate
Una “società amica delle nascite” (shēngyù yǒuhǎo xíng shèhuì, 生育友好型社会), è l’antidoto all’inverno demografico pensato dal Partito comunista cinese (Pcc). Nel corso del plenum del 20-23 ottobre, l’incontro politico a porte chiuse del Comitato centrale del Pcc che si è tenuto per la quarta volta dal Congresso dal 2022, si è parlato dei temi caldi della politica cinese e internazionale: sviluppo, tecnologia, Spazio, investimenti, e anche natalità (o quel che ne resta). Pechino sembra fare sul serio: l’idea è quella di rendere sempre più accessibili l’assistenza all’infanzia e l’istruzione, oltre al supporto agli anziani. Ma si prevede anche l’aumento dell’età pensionabile per sfruttare la cosiddetta “economia d’argento” della fascia demografica più anziana. Dopo tre decenni di famigerata politica del figlio unico – abbandonata definitivamente soltanto nel 2015 – le biopolitiche demografiche hanno cambiato faccia. Se multe, controlli e infanticidi verso chi aveva più di un figlio sono ormai solo un incubo lontano, le nuove generazioni non hanno comunque intenzione di sacrificarsi per svolgere il loro “dovere nazionale” e invertire la rotta del declino demografico. Prediligono la loro autodeterminazione e, nelle condizioni materiali in cui si trovano oggi, non hanno sufficiente fiducia nel futuro.
Trent’anni di politica del figlio unico
La politica del figlio unico, introdotta a partire dagli anni Ottanta per frenare la crescita della popolazione e garantire – così speravano i suoi teorici – uno sviluppo economico più rapido ed equilibrato nella Nuova Cina, ha effetti ancora visibili sulla società. Un drastico calo delle nascite, un forte squilibrio di genere (troppi uomini e poche donne, con le conseguenze sociali che ciò comporta) e l’invecchiamento accelerato della popolazione. La preferenza per i figli maschi e le interruzioni selettive di gravidanza – che hanno portato a un numero drammatico di infanticidi – hanno prodotto un surplus maschile stimato in oltre 30 milioni di persone. Secondo il South China Morning Post, che ha intervistato il demografo Jiang Quanbao della Xian Jiaotong University, tra il 1980 e il 2010 circa 20 milioni di bambine sono scomparse dalla popolazione a causa della predilezione per i figli maschi. Intanto, la popolazione in età lavorativa è diminuita e la struttura familiare si è ridotta al modello “4-2-1”: quattro nonni, due genitori, un solo figlio.
Il fattore giustizia di genere
Oggi quell’esperimento di ingegneria sociale potrebbe compromettere gli obiettivi di crescita di Pechino, perché l’inversione di rotta è arrivata dopo più di trent’anni. Tra il 2015 e il 2016, il governo ha iniziato a consentire due figli, poi tre, e poi ha introdotto sussidi per l’infanzia. Nel 2025 Pechino ha annunciato un aiuto annuale di 3.600 yuan per ogni bambino sotto i tre anni, destinato a oltre 20 milioni di famiglie. Ma il governo sa che non bastano i bonus: servono case accessibili, servizi educativi e maggiore conciliazione tra lavoro e maternità. In poche parole: l’inverno demografico è anche una problema di uguaglianza di genere (xìngbié píngděng, 性别平等). Xi Jinping parla di “costruire una società amica delle nascite”, dove avere figli non significhi perdere indipendenza economica o opportunità di carriera. E sono questi alcuni dei temi cari alle giovani donne cinesi, che si rifiutano di alimentare un modello familiare tradizionale ritenuto non più accettabile.
Le conseguenze
Il termine “inverno demografico” (rénkǒu hándōng, 人口寒冬) è stato usato per la prima volta in modo diffuso nei media e tra i demografi cinesi intorno al 2018, quando i dati ufficiali iniziarono a mostrare un crollo delle nascite subito dopo l’introduzione della politica del secondo figlio. Ma il gelo sulla popolazione cinese è calato ufficialmente nel 2022, quando la Cina ha registrato per la prima volta un clamoroso calo assoluto. Il National Bureau of Statistics (NBS) ha annunciato che la popolazione totale cinese era diminuita di 850mila persone, scendendo a 1,411 miliardi, smentendo le dichiarazioni dei rappresentanti di Pechino che continuavano a negare il declino demografico. Nel 2023 la popolazione è calata per il secondo anno consecutivo, e il tasso di fertilità si è fermato intorno a 1,0, tra i più bassi al mondo. Meno giovani significa meno persone in età da lavoro e quindi anche meno consumatori. Così la capacità di alimentare la crescita interna su cui Pechino vuole basare il proprio “nuovo modello di sviluppo” (finora fondato, soprattutto, su esportazioni, investimenti infrastrutturali e sussidi) sarebbe in dubbio. Ma anche sul piano della politica internazionale Pechino tradisce una certa sensibilità. Una Cina demograficamente in declino rischia di perdere slancio nei confronti di un’India sempre più giovane e dinamica, ad esempio, oppure di prestare il fianco a teorie che prevedono un declino anche in termini di presenza internazionale.
La genitorialità è un lusso
Le politiche pro-natalità finora hanno prodotto risultati limitati. Dopo la fine della politica del figlio unico, il numero di nati ha continuato a scendere: nel 2024 sono stati meno di 9 milioni, contro i 17 milioni del 2016. Gli incentivi economici coprono solo in minima parte i costi di crescere un figlio – circa 500mila yuan fino alla maggiore età, secondo il think tank YuWa Population Research Institute di Pechino. In alcune città, come Tianmen, i sussidi locali più generosi hanno portato a un lieve aumento delle nascite, ma restano eccezioni. Gli ostacoli strutturali come il costo della vita, il lavoro precario, gli orari massacranti, la pressione sociale sulle donne, continuano a pesare più di qualsiasi assegno familiare. Costruire una Cina “amica delle nascite” non sarà questione di incentivi, ma di fiducia. Finché le giovani generazioni percepiranno il futuro come incerto e la genitorialità come un lusso, la rivoluzione demografica resterà solo sulla carta.
Laureata in Relazioni internazionali e poi in China&Global studies, si interessa di ambiente, giustizia sociale e femminismi con un focus su Cina e Sud-est asiatico. Su China Files cura la rubrica “Banbiantian” sulla giustizia di genere in Asia orientale. A volte è anche su Domani e il manifesto.

