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Dialoghi – Essere studenti, nella Cina rurale, non è una cosa semplice

In Dialoghi: Confucio e China Files, Economia, Politica e Società by Francesco Mattogno

Le scuole chiudono, gli insegnanti scarseggiano e spesso persino la strada per andare a lezione può essere problematica. Studiare nella Cina rurale è molto più difficile che farlo in città, e anche chi entra all’università sente il peso delle disuguaglianze. Da tempo Pechino sta cercando di riequilibrare le cose, con risultati altalenanti. “Dialoghi: Confucio e China Files” è una rubrica in collaborazione tra China Files e l’Istituto Confucio dell’Università degli Studi di Milano. Clicca qui per tutte le puntate

Capita spesso, in cinese, che esista un termine capace di indicare in pochi caratteri una condizione o una situazione che a spiegarla in italiano servirebbero righe, articoli, trattati. Allora anche “aiutare i propri figli a vivere con meno stress il percorso di studi, trasferendosi con loro in una casa situata nei pressi della scuola o dell’università, che si trova a decine o centinaia di km dal paesino d’origine della famiglia, o all’estero” diventa semplicemente “peidu” (péidú, 陪读: letteralmente “aiutare qualcuno nello studio”, ma può essere usato anche in altri contesti). Ecco, in Cina le madri (soprattutto) o i nonni che scelgono di fare peidu sono tanti e vengono quasi esclusivamente dalle zone rurali del paese.

Il motivo per cui lo fanno, e per cui esiste una parola ben precisa a spiegare il fenomeno, è che tra studiare nelle zone rurali della Repubblica popolare o andare a scuola in città c’è una grande differenza, ancora oggi. In alcuni casi a mancare nelle campagne sono proprio le scuole, in altri i finanziamenti o gli insegnanti qualificati, e quindi un’istruzione di livello. Per una famiglia cinese delle zone rurali, prendersi cura dei figli mentre studiano in città è una forma d’amore ma anche un modo per proteggere un investimento dissanguante, in un contesto iper-competitivo che premia solo i migliori, e a volte neanche quelli.

Le scuole chiudono, gli studenti abbandonano

A partire dal 2001 Pechino ha ordinato la chiusura di centinaia di migliaia di scuole delle zone rurali. L’idea, visto lo spopolamento delle aree periferiche dovuto a urbanizzazione e calo demografico, era quella di concentrare gli studenti in un numero limitato di scuole nel tentativo di ottimizzare le risorse e migliorare la qualità dell’istruzione, che in Cina è finanziata dai governi locali. La misura ha però peggiorato la vita scolastica di molti studenti delle aree rurali, spesso costretti a percorrere chilometri di strade mal collegate per arrivare a scuola, con annessi disagi psicologici legati all’ansia e allo stress di passare gran parte del proprio tempo lontano da casa.

Data la situazione, le poche famiglie che possono permetterselo mandano i propri figli in scuole private urbane (il sistema dell’hukou vieta agli studenti di iscriversi in scuole pubbliche fuori dal loro territorio di residenza), da lì il peidu, ma la maggior parte delle ragazze e dei ragazzi cinesi nati in campagna non ha avuto altra scelta che adeguarsi. Nel 2012 lo stesso governo cinese ha criticato e abbandonato la politica di centralizzazione, anche se nel frattempo avevano già chiuso oltre 260 mila istituti nelle campagne (si è passati dai 416 mila del 2001 ai 155 mila del 2012), portando il tasso di abbandono scolastico a livelli preoccupanti.

Da allora le cose non sono cambiate poi così tanto. Le persone continuano ad andarsene e le scuole a chiudere, aggravando la disparità educativa tra gli studenti delle aree urbane e rurali, dettata anche da una redistribuzione diseguale delle risorse, incanalate prevalentemente verso gli istituti più prestigiosi. In Cina la scuola dell’obbligo si ferma alla terza media e, sebbene sia difficile che uno studente decida di non proseguire oltre, nelle campagne cinesi molti si buttano nel lavoro già a 16-17 anni, per ragioni diverse.

Non è solo una questione di soldi, o almeno non sempre. Secondo uno studio pubblicato nel 2015 dal Progetto di azione per l’educazione rurale (REAP), che comprendeva ricercatori di varie università cinesi e della Stanford University, solo l’8% delle ragazze e dei ragazzi che erano usciti da scuola lo aveva fatto per aiutare la propria famiglia con le spese. La restante parte parlava di «noia», della volontà di fare nuove esperienze o della difficoltà di superare esami e compiti. Altri ancora erano attratti dagli stipendi più alti garantiti dal lavorare come migranti in città, al cospetto di quelle prospettive astratte e lontane nel tempo fatte di studio, esami e probabile precarietà.

Studi, ricerche e soluzioni possibili

Nonostante studi attendibili come quello del REAP, che per redigere il report ha intervistato 50 mila studenti delle zone rurali cinesi, non è facile fornire una visione d’insieme delle criticità legate all’educazione rurale in Cina. L’Economist mette in fila un po’ di dati in questo articolo del 2021, ma in generale si può dire che solo un terzo degli studenti cinesi provenienti dalle aree rurali va all’università, contro i due terzi di chi vive e studia in città. Tra l’altro, gli studenti rurali sono molti di più (circa il 65% del totale), visto che chi risiede nelle campagne fa in media più figli di chi sta in città.

Molte ricerche recenti si concentrano sul benessere psicologico degli studenti delle aree rurali cinesi, in particolare dei “bambini lasciati indietro” (liúshǒuértóng, 留守儿童), il termine con cui ci si riferisce agli oltre 70 milioni di minori che rimangono a vivere con i propri nonni o zii mentre i genitori si trasferiscono in città come lavoratori migranti. Alcuni studi legano questa condizione ad episodi di criminalità nella vita adulta, altri si concentrano sulle conseguenze per la loro salute mentale, anche connessa al rendimento scolastico (che migliora se la comunicazione con i genitori, anche online, è frequente).

Almeno il 21% degli studenti cinesi che vivono nelle zone periferiche del paese è considerato a medio rischio di depressione, mentre l’8% è a «serio rischio», secondo uno studio pubblicato ad aprile su una rivista scientifica cinese di salute mentale (qui un riassunto della newsletter The East is Read). Come evidenzia l’interesse accademico per il tema, il governo centrale prende in seria considerazione la questione e negli ultimi anni ha preso varie decisioni volte a migliorare la situazione.

Nel corso del XX Congresso del Partito Comunista Cinese, nel 2022, il presidente Xi Jinping ha presentato una tabella di marcia finalizzata a promuovere una maggiore uguaglianza educativa in tutto il paese, costruendo un sistema scolastico «di alta qualità» e «giusto». È un percorso che deve partire fin dai primi mesi di vita. Per questo dal 2011 Pechino finanzia, grazie anche al contributo di ONG internazionali, un programma di pasti gratuiti negli asili e nelle scuole rurali per migliorare l’apporto nutritivo degli studenti, con ottimi risultati. 

I bambini, un tempo più magri, bassi e ipoglicemici, hanno iniziato a crescere con una media di valori più vicina a quella del resto del paese, e c’è anche chi dice di mangiare meglio a scuola che a casa, dove nelle situazioni più estreme è complicato ricevere tutti i giorni un pasto completo. Pechino distribuisce poi regolarmente borse di studio (anche se indirizzate solo agli studenti migliori, divisi in classi di merito fin da piccoli) e organizza corsi estivi focalizzati sulle materie scientifiche e tecnologiche. In alcuni casi i governi locali selezionano dei professori provenienti dalle città per portarli nelle campagne, così da migliorare la qualità dell’insegnamento: di solito questo tipo di progetti ha durata limitata, di massimo un anno, ma gli studenti sembrano risentirne positivamente.

Una questione di status

Dal 2012, nel tentativo di recuperare quell’enorme capitale umano a rischio abbandono scolastico, Pechino ha inoltre deciso di abbassare la soglia minima necessaria per superare il gaokao (e quindi entrare all’università) prevista per gli studenti delle aree rurali, e da allora circa un milione di loro è riuscito a superare l’esame. Nonostante questo, il peso delle disparità, una volta iniziato un corso universitario, si fa sentire. 

Come racconta a Sixth Tone una studentessa, arrivati in città sono in molti a farsi prendere da un certo senso di inferiorità. Al di là della preparazione scolastica – si può passare dall’essere l’unica persona in classe a parlare bene inglese a frequentare un corso con centinaia di studenti fluenti in lingua, per esempio – la vera differenza tra aver vissuto in campagna o in città riguarda «l’esperienza sociale». 

Concentrati solo sul passare gli esami, gli studenti delle aree rurali non hanno la possibilità di apprendere altre qualità fondamentali per il salto nel mondo del lavoro, alla portata invece di chi cresce in città. Capacità relazionali, apparenza, «intelligenza emotiva». Sono fattori che possono essere appresi solo attraverso un determinato contesto familiare, economico e sociale: è un capitale culturale di cui la gran parte di chi vive nelle campagne non può disporre. Per questo diverse persone mollano, una volta arrivate in città, anche scoraggiate dalle ridotte prospettive lavorative. 

Secondo alcuni sociologi, sommando difficoltà tecniche e culturali, i cinesi delle zone rurali starebbero perdendo la fiducia nel fatto che perseguire un’istruzione più elevata possa migliorare le loro vite, o quella delle loro famiglie. Non la pensa così un giovane assistente professore dell’Università Normale dello Zhejiang, Wang Zhaoxin, ex studente delle campagne cinesi che ha fatto carriera accademica a Pechino e altrove. 

«Il valore che i genitori delle campagne cinesi attribuiscono all’istruzione dei figli fa parte di un fenomeno culturale più ampio e profondamente radicato nella società rurale» – ha scritto in una serie di articoli su Sixth Tone – « (…) tutti noi consideravamo lo studio intenso come la massima espressione della pietà filiale». Avere un figlio che eccelle negli studi può infatti migliorare non solo le finanze familiari, in futuro, ma anche lo status sociale di cui gode la famiglia all’interno del paese d’origine. 

Di fatto può far «guadagnare ai genitori la “faccia”», dice Wang, perché «i cinesi delle aree rurali non onorano i loro antenati restando nella loro terra d’origine, ma lasciandosela alle spalle». Per chi viene dalla Cina rurale, la possibilità di studiare, pur con tutte le difficoltà che comporta, serve anche a questo. Lo sanno bene le famiglie che hanno fatto del peidu una scelta di vita.

di Francesco Mattogno